Notizie in Controluce

«Filari di vite»: la frase evoca anche qui nel subalpino italico territorio un suggestivo e molto evocativo paesaggio; una nobile, virtuosa e radicata cultura. Nei Colli Albani, nella Terra Latina però, questo paesaggio, questa cultura è andata scemando dal 1960, o prima, arrivando a un qualcosa di molto più grave che non saper più curare ed amare questa nobile, amena e fertile terra, a cominciare dai suoi più materiali aspetti, che incantò attorno al 1950 autori come Pavese, anch’egli figlio di una nobile terra vitivinicola. Cultura albana, latina, sempre più martoriata,’mobbizzata’ direi, dal bulimico, squilibrato, aggressivo e prevaricante sviluppo edile ed urbano, locale e ‘de Roma’. Di quest’ultima soprattutto e sotto Frascati particolarmente: dal 1990 la città tuscolano si è fatta scippare un 10% e forse molto più di territorio e paesaggio rurale in nome della standardizzata trinità romana Cemento-Asfalto-Ferro. Vigneti orribilmente abbattuti per far posto ora a ennesime, più remunerative e sempre quadre palazzine. Una cultura agreste che qui negli Albani si è un po’ troppo impigrita, adagiata sulle comodità ora portate e supportate da Roma. Roma, che ora, dal 650 a.C, rompe non poco le scatole – per sua mano diretta o indirettamente a causa dei suoi madornali errori o voglia di strafare politica – al territorio e relativa popolazione. Sviluppo urbano mostruosamente ‘romanocentrico’, senza controlli, senza sane e giuste pianificazioni e garanzie. Roma, che nel suo disordinato, viziato e squilibrato sviluppo porta ora a ‘esternalizzare’ – oltre i suoi debiti economici “ anche i suoi vizi e i suoi deliziosi ‘giochini’ politici (premiate ditte ‘Cesariucci & Co’). Roma cresce e s’allarga senza manco chieder permesso ai comuni albani e latini, o senza magari impegnarsi troppo a stimolare un dialogo con tutti i municipi latini aggregatisi in un cervello solo. O magari stimolare questo aggregato, e invece no! «Ognuno per sé e Dio per tutti». Roma, con la sua periferia e le sue borgate, cresce e s’allarga, portandosi dietro tutta una lunga serie di noie, problemi e quant’altro, soprattutto di natura sociale. Provoco: Roma garantisce la qualità della società ‘amministrativamente romana’ che è cresciuta senza controlli nelle sue borgate di confine, a loro volta frutto di una pazzesca e abominevole politica urbanistica imperante negli anni ’60-70? Garantisce quelle culture senza memoria né identità? Chi garantisce le grandi comunità nomadi a ridosso del territorio albano come l’ultradecennale campo nomadi della Sorgente Appia?. Chi garantisce la qualità della vita per i molti forestieri, soprattutto orientali, arrivati in massa dal 1989 attorno a Roma e qui nel territorio latino, le cui comunità ormai sono predominanti, o quasi, in molti centri storici? Chi garantisce la condotta delle migliaia di romani che ormai regolarmente si sfogano negli Albani durante i festivi? Chi garantisce la massa di ‘forestieri’ che transita per gli Albani fin dentro il loro cuore, tipo il Vivaro? «Filari di vite». Questa volta uso la locuzione in modo polemico per indicare l’estrema reattività riflessiva degli amministratori e politici locali, che da venti anni e più – litigando sulle migliori politiche comuni qui per gli Albani o impugnando un campanilismo anacronistico – si stanno facendo scappare di mano (politicamente ed economicamente), l’ambiente, lo sviluppo e la crescita locale. Si stanno facendo scippare dalle ditte ‘Cesariucci & Co’, dai ‘furbetti romani’, da ‘scaltri’ forestieri e ‘scaltri’ imprenditori. Quindi, per sostenerti e per sintetizzare: caro amministratore, caro politico locale, svéjate e datte da fa’! Te lo dico cor core in mano, nun te fa’ ncantà dar romano! Nun te fa’ buggerà dar forestiero (e italico)! Nun te fa’ ncantà dai grandi numeri de Roma, dalle ‘sirene romane’! Pensa con la capoccia tua ….magari non da solo, insieme alle altre latine, soprattutto castellane!