The China Study-2
La prima ricerca condotta dal dottor Campbell ha preso in esame dei foci, grappoli microscopici di cellule che si trasformano fino a diventare tumori, e ha mostrato come il loro sviluppo dipenda «quasi esclusivamente dalla quantità di proteine consumate, indipendentemente dalla quantità di aflatossina consumata». Infatti, negli animali nutriti solo con il 5% di proteine non c’è stata nessuna reazione da parte dei foci, neanche con la somministrazione della massima dose tollerata di
aflatossina. Una ricerca ancora più complessa è stata svolta su due famiglie di topi transgenici, fortemente predisposti al tumore epatico: la dieta con il 22% di proteine animali ha fatto in modo che il gene virale causasse il cancro, cosa che non è accaduta per quelli nutriti con il 6%. In questi studi, la proteina somministrata è la caseina che costituisce l’87% delle proteine del latte. È stata provata la sua capacità di influire sul modo in cui le cellule interagiscono con i carcinogeni, sul modo in cui il DNA reagisce ai carcinogeni e sul modo in cui crescono le cellule cancerose, mentre una proteina vegetale come il glutine, testata allo stesso modo, ha mostrato di non promuovere la crescita tumorale anche ai più alti livelli di assunzione. La validità dei test sui ratti è giustificata da una serie di fattori: la specie umana e i ratti hanno un fabbisogno di proteine quasi identico; le proteine agiscono su entrambe le specie allo stesso modo; sia nei roditori sia negli esseri umani il livello di assunzione di proteine che causa la crescita del tumore è uguale e la fase di iniziazione è molto meno importante di quella di promozione del cancro. Inoltre, sui ratti vengono testati farmaci antitumorali e cure chemioterapiche destinati agli uomini. La seconda indagine, un progetto di ricerca sviluppato da Cina e Usa, ha preso in considerazione 65 contee nelle quali sono stati distribuiti questionari a 6500 adulti, che sono stati anche sottoposti alle analisi del sangue e delle urine e ad un esame del cibo consumato per tre giorni. I dati ottenuti e successivamente comparati hanno mostrato che un americano in media ha un apporto calorico del 15-16% di proteine, di cui l’80% di origine animale, mentre nelle aree della Cina rurale l’apporto calorico di proteine è del 9-10%, di cui solo il 10% di origine animale. Nella Cina rurale l’apporto calorico è più alto, si consumano meno grassi, meno cibi animali e una quantità maggiore di fibre e ferro. In seguito è stato possibile distinguere, partendo da un’indagine nazionale cinese sul cancro, due gruppi di patologie: malattie del benessere, come cancro, diabete e cardiopatie, presenti in zone economicamente più sviluppate; malattie della povertà, come polmonite, ulcera peptica, tubercolosi polmonare, presenti in aree rurali. Secondo gli autori di The China Study, la disinformazione alimentare è voluta dalle potenti lobby, dagli enti governativi e dalle case farmaceutiche, che riescono a condizionare non solo la nostra conoscenza, ma persino la nostra percezione delle malattie e perciò le scelte sulle cure da adottare. In pochi sanno che le malattie “occidentali”, le cosiddette malattie del benessere, sono associate a livelli di colesterolo più alti, mentre livelli di colesterolo più bassi sono correlati a livelli più bassi di diabete, cardiopatie, ictus e cancro. I risultati ottenuti hanno mostrato che i cibi di origine vegetale abbassano il colesterolo, al contrario di quelli di origine animale, che rappresentano le principali sostanze cancerogene consumate: il consumo di proteine animali si accompagna ad alti tassi di cancro al seno e alle ovaie; il cancro al fegato è associato all’aumento del colesterolo endogeno. Un’alimentazione povera di proteine animali riduce il rischio di tumori attraverso differenti meccanismi, ad esempio il consumo di fibre e antiossidanti è utile contro i tumori all’apparato digerente. La scelta di limitare o di non assumere proteine di origine animale, dato che il nostro organismo è spesso esposto a cancerogeni di varia natura, scongiura la possibilità di stimolare o cronicizzare un tumore latente. Un motivo in più per limitare il consumo i cibi di origine animale è il risvolto positivo sia ambientale che socio-economico che una scelta di questo tipo è in grado di determinare a lungo termine.
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