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Testimonianze sulla Shoah

Testimonianze sulla Shoah
Febbraio 03
23:00 2014

Richard Glazar – Superstite di Treblinka
«Fu alla fine del Novembre 1942. Mentre ci cacciavano via dal lavoro verso le nostre baracche, tutto ad un tratto, da quella parte del campo che si chiamava “il Campo della Morte”, divamparono le fiamme. Molto in alto. E in un attimo tutto il paesaggio, tutto il campo parve incendiarsi. Siamo entrati nella nostra baracca e dalla finestra non si finiva mai di vedere il fantastico sfondo di fiamme di tutti i colori immaginabili: rosso, giallo, verde, viola. Era la prima volta che accadeva: da quella notte sapemmo che ormai i morti non sarebbero più stati sotterrati, ma bruciati»

Rudolf Vrba – Superstite di Auschwitz
«La rampa era il terminale dei treni che arrivavano ad Auschwitz. Arrivavano giorno e notte, a volte uno al giorno, a volte cinque, da tutte le parti del mondo. Le cose si svolgevano così: per esempio, un treno di ebrei era atteso per le due del mattino. Quando si avvicinava ad Auschwitz lo annunciavano alle SS. Un SS ci svegliava, eravamo scortati nell’oscurità fino alla rampa: eravamo circa 200 uomini. Tutto si illuminava. C’erano la rampa, i riflettori e sotto i riflettori le SS allineate; ad ogni metro un SS con l’arma in pugno. Noi stavamo in mezzo, noi prigionieri, in attesa del treno, in attesa di ordini. Appena il treno era fermo, quella risma di gangster si appostava; ogni due o tre vagoni, certe volte davanti a ogni vagone, uno di questi Unterscharführer aspettava con una chiave e apriva gli sportelli, poiché questi erano chiusi con catenacci. Allora si apriva uno sportello, e il primo ordine lanciato era: “Alle heraus!”. Tutti fuori, e per farsi capire picchiavano con bastoni il primo, il secondo, ecc… Dentro a quei vagoni, gli ebrei erano come sardine. Se quattro, cinque o sei treni arrivavano nello stesso giorno, lo scarico avveniva con la massima urgenza: piovevano randellate, insulti. Ma, quando il tempo era bello, potevano comportarsi diversamente, mostrarsi di buon umore e fare dello spirito, dicendo per esempio: “Buongiorno signora, prego, scenda” oppure: “Che gioia, siete qui, scusate la scomodità. Ora tutto cambierà”.

Franz Suchomel – Unterscharfürer SS
A Franz Suchomel, ufficiale SS a Treblinka, Lanzmann pone una domanda precisa sul modo adottato per uccidere “diciottomila ebrei al giorno” : «Diciottomila è troppo dottor Lanzmann, è esagerato può credermi; da dodici a quindicimila sì», gli rispose con voce calma e controllo emotivo, dicendo così, a chi lo ascoltava, che lui si trovava in quel luogo solo per svolgere un lavoro. «A Treblinka sono arrivati cinquemila ebrei, fra i quali tremila morti. Nei vagoni si erano tagliate le vene, o erano morti così; erano migliaia di esseri umani “accatastati gli uni sugli altri come legname”. Ma anche altri ebrei, vivi, aspettavano lì da due giorni, poiché le camere a gas piccole non erano più sufficienti. Funzionavano giorno e notte, in quel periodo non ci avevano detto che laggiù si ammazzava la gente, mi avevano detto : “Il Führer ha ordinato delle operazioni di trasferimento”. Non mi hanno detto “ammazzare”; a Treblinka si usava solo il gas dei motori. Lo Zyklon è stato ad Auschwitz. Le persone eliminate erano tante…i corpi si ammucchiavano intorno alle camere a gas e ci restavano per parecchi giorni e sotto quei mucchi di cadaveri si era formata una cloaca alta 10 cm con sangue, vermi e letame; alcuni ebrei sotterravano i loro familiari e vedevano con i propri occhi la carne dei cadaveri che restava fra le loro mani».

Ricordare non è solo importante, testimoniare non è solo necessario, ma è un dovere, è una responsabilità verso chi è vissuto nei lager, verso chi da lì non è più uscito, verso le generazioni future e soprattutto verso chi nega che sia successo, o, e chissà cosa è peggio, crede sia stato giusto. A costoro il consiglio di andare a visitare quei luoghi, di andare a vedere con i propri occhi intere vetrine piene di capelli, di protesi, di vestiti, di valigie con su scritti i nomi di chi mai avrebbe potuto immaginare che il suo viaggio era già terminato.

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