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Terrorismo o peggio ancora

Terrorismo o peggio ancora
Febbraio 01
23:00 2015

Tra i piu’ interessanti e stringenti interventi elaborati sul massacro di Charlie Hebdo, quello dell’amico Erri de Luca m’è parso il più eloquente nel mettere sull’avviso qualunque tentativo di manomissione della verità: “Morire con la matita in mano, la scatola dei colori, mentre si sta disegnando lo sgambetto a una qualche tirannia, con lo strumento insuperabile del sorriso.

La strage non si limita a minacciare la libertà di critica. Mira a ferire la libertà in se stessa, data per immorale dagli assassini”. Non ho la sua capacità comunicativa né la sua sintesi di ghiaccio bollente, cercherò quindi di non farla tanto lunga con i soliti ossimori.
A Parigi la ghigliottina reclama il dazio che le è dovuto, la caccia è giunta a conclusione, i combattenti senza onore sono stati messi pancia a terra, adesso è tempo di contare i morti, i feriti, le eventuali attenuanti prevalenti alle aggravanti per lenire il dolore delle nuove assenze.
Qualcuno si ostina a dire che non bisogna offendere il Dio degli altri, tanto meno provocare quel Dio tanto protetto e osannato. Qualcuno sarebbe ora tacesse. Dio e tutti i santi sono nominati invano e pure presi a scaracchi in terra nostra, in alcune parti italiche non si pronuncia parola che bestemmia non incolga, manco fosse sport d’imperio paesano, cittadino, fin’anche regionale-nazionale. Dio è preso a ginocchiate, tra sorrisi e pernacchie, un assolo straripante di parolacce e improperi, persino vip e famosi per forza ne fanno grande sfoggio, e chissà se qualcuno ricorda un grande mezzo busto di veneta periferia, che tra una notizia e l’altra, intratteneva bellamente il popolino con smargiassate di vario tenore.
Il comando alto ci impone di non nominare il nome di Dio invano, noi infrangiamo tranquillamente la regola, ciò è chiaramente diseducativo, profondamente sbagliato, perfino fastidioso, ma la punizione non contempla il taglio scarnificante del machete né i botti in entrata del kalashnikov. Chiudere la partita affermando che quanto accaduto in Francia (dappertutto è residenza francese o almeno così la penso io) sia da ricondurre all’uso scriteriato di una satira qualunquista, una presa per il deretano irresponsabile del credo mussulmano, è a dir poco disarmante. Quanto accaduto a Parigi non è riconducibile alla semplice affermazione terroristica, pensare che quegli spari a bruciapelo siano il risultato di una banda di esaltati, di numeri a perdere, di persone destinate al macero, è quanto meno discutibile, riduttivo, drammaticamente semplicistico, una spiegazione minore a favore del prossimo colpo in canna. Ciò che sta avvenendo in Europa, in America, nel mondo occidentale, è esattamente ciò che sta imperversando in ogni parte del mondo, a democrazia esportata (nel processo di esportazione democratica non ho mai creduto) corrisponde altro identico sangue versato, a massacro perpetrato in nome di una giustizia alta, ecco la carneficina come equivalente di una giustizia meno importante, eppure delirante al punto da scambiare Dio con il carico di plastico da fare detonare tra infedeli e traditori, inventando patenti di eroi irriconoscibili e di martiri che invece non hanno onorato alcun dettato coranico.
È senz’altro terroristica la forma di guerra combattuta, è terrorismo il modo in cui si fa combattimento mordi e fuggi, è terrorismo figlio di una ideologia, è terrorismo che però non alimenta se stesso, ma si abbevera alla sua fonte, la religione, dove partorisce e nasce la sua capacità di erosione intellettuale, in quella parte di Corano sprovvisto di esegeti, di oracoli, di interpreti, di testimoni, i quali avrebbero tutto il diritto di predicare la necessità di non farsi infinocchiare, non dalla preghiera, non dalla fede, non dalla speranza che ognuno mantiene e custodisce per tentare di rimanere un uomo libero.
Quando la fede, diviene lo scarpone chiodato per fare politica, per rendere accettabile la miseria e il sopruso, allora, quella fede non ha più nulla da recriminare se la religione professa vendette e guerre sante, se la voce di Dio è schiacciata tra incudine e martello, se profeti e testimoni vestono tute mimetiche vendute al migliore offerente.
L’Islam non è un mostro dalle mille teste, non c’è nulla di incomprensibile e quindi colpevolmente sconosciuto, piuttosto è la violenza l’arma letale che annienta il dialogo e la possibilità di accorciare le distanze, è violenza messa in atto per difendere, è violenza messa in campo per attaccare, la violenza che impone martirio e suicidio, la violenza che con prepotenza estirpa intere generazioni, la violenza che uccide in nome di Dio, la violenza che ammazza in nome della democrazia, la violenza che conta da una parte i morti per attentati e omicidi di massa premeditati, la violenza che adagia con indifferenza nelle fosse pubbliche centinaia di migliaia di innocenti in nome del riordino mondiale, di una presupposta difesa dei principi e diritti universali. Ostinato e cocciuto, per altri pensatori, arguto e lungimirante, c’è chi si ostina a specificare che non si tratta di fatti eclatanti riconducibili alla propria religione, c’è fretta di rimarcare che non c’entra nulla il Dio degli altri, ancora meno il sangue versato ieri, l’anno scorso, oppure domani. C’è urgenza di sottoscrivere l’epitaffio autoassolvente di un terrorismo becero e tracotante, emerge la necessità di confinare questa minaccia incombente in uno spazio ben delimitato, dove poi fare confluire l’urto potente e indiscriminato della pace e della democrazia, e chissà, potrebbe risultare addirittura meno costoso in termini di vite umane questa politica della bomba (poco) intelligente.
Non è terrorismo di tutti, non è terrorismo di ognuno e di ciascuno, l’islam moderato è una realtà, oltre che vittima primaria del terrorismo di matrice islamica, l’errore più grave in questo momento è confondere le cose, perdendo contatto e attenzione con la sostanza del vero problema.
Ma è terrorismo prettamente coinvolgente intere nazioni, popoli, genti, dove spesso il buon Maometto, uomo di pace e di cuore grande, è ridicolizzato a una sorta di caricatura feroce e dannatamente somigliante al sultano Salah Al –Din. Ovviamente le parole sono ben più di semplici sassi, vanno soppesate, non maldestramente ferocizzate. Eppure sullo sviluppo demografico, sulle problematiche dell’immigrazione legate anche a Schengen che consente liberi passaggi alle frontiere nonché sull’integralismo e sulle dinamiche sociali, occorre parlarne, discuterne, fors’anche mettersi a mezzo, di traverso, non nascondere la testa come fanno gli struzzi, perché non ammetterlo per puro tornaconto elettorale, non solamente è imperdonabile, ma equivale a non fare i conti con quanto ci sta aspettando al varco. Ah dimenticavo: personalmente “non mi sento Charlie Hebdo” piuttosto un cercatore infaticabile di sepolcri imbiancati, dove mai sarà domiciliato alcun Dio.

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