Teologia-politica e Democrazia a-venire
Cosa si intende per teologico-politico? La categoria è eminentemente ambigua, in quanto, con questo termine, viene affermata una generica relazione tra i due ambiti, apparentemente così distinti eppure così strettamente connessi, senza che ne sia, tuttavia, caratterizzata la natura: teologia e politica. È necessaria, allora, una contestualizzazione storica che permetta di circoscrivere l’indagine e consenta, al tempo stesso, una messa a fuoco almeno approssimativa della questione. Noi ci soffermeremo in particolare sulla tesi esposta da Derrida, che ritiene ” ogni concetto politico democratico un concetto escatologico-messianico secolarizzato” e che tenta di pensare una riflessione sul politico incentrata sulla nozione di dono, di sacrificio, di iperbolico amore verso l’altro.
Nella sua opera più famosa Doner la mort, il filosofo parla di un “protocristianesimo a venire”, cioè di un impossibilità intrinseca alla categoria del politico di realizzare una moderna democrazia nel momento in cui elimini dal proprio interno quell’annuncio cristiano di fede,di speranza e carità, se pur laicamente decostruito. La distinzione tra democrazia e totalitarismo si riduce dunque, secondo Derrida, ad una capacità o meno di accoglienza,di ospitalità inesauribile all’evento dell’alterità, che,per il filosofo, si pone alla base dello stesso concetto di giustizia.
È necessario uno scarto, un pensiero dell’eccedenza e dell’imprevedibilità che possa prevenire ogni ideologia immanentistica e ogni forma totalitaria che si basi su una logica economica e privatistica di uccisione dell’altro per il trionfo di sé.
“Non ci può essere un avvenire come tale se non si dà un’alterità radicale e il suo rispetto”.
A venir ripresi sono, dunque, gli stessi nuclei teorici del De Civitate Dei di Sant’Agostino, se pur accuratamente decostruiti e secolarizzati. La stessa dialettica presente all’interno della concezione agostiniana – Romolo e Cristo, il sacrificio dell’altro contro il sacrificio di sé per l’altro- li ritroviamo in un ottica laica, nuova, che si pone come conditio sine qua non per la realizzazione di un potere realmente democratico. Ad esser negata è la concezione schmittiana che vede,all’origine della fondazione del politico, la relazione pubblica amico-nemico e la sua intrinseca violenza fatricida.
Secondo Schmitt, la realtà politica presuppone una relazione polemica, di guerra, tra l’uno e l’altro, in una logica identitaria e di sopraffazione che pone le condizioni per la nascita della stessa aggregazione sociale, ovvero dello Stato, che esiste soltanto in vista della guerra e del pericolo che ogni individuo esercita sul proprio simile. L’amor sui, l’affermazione di sé, trionfa; giustificando e legittimando ogni scorrimento di sangue e violenza fatricida per la salvaguardia del proprio io, in quanto l’altro è lo stesso fratello visto some la messa in questione della propria identità e la minaccia alla propria esistenza (Caino-Abele). Derrida, al riguardo, sottolinea che il pensiero politico schmittiano è inseparabile da ” l’amore per la guerra, al di fuori del cui orizzonte non c’è Stato”. Il pensiero del filosofo francese si pone,allora, in netta contrapposizione a questa logica cainitica del potere politico, vedendo solo nel riconoscimento dell’alterità e nella sua accettazione, fino alla possibilità della propria stessa eliminazione, la base per la fondazione di un vero potere democratico. Amare il proprio nemico significa, così, uscire e rompere definitivamente quella concezione del politico come orizzonte di identità e di economia, di assolutizzazione del sé che vede nella violenza e nella morte dell’altro il proprio trionfo.
Una concezione nuova con Derrida,; una nuova teoria del politico che pone come proprio principio “il porger l’altra guancia”, il riconoscersi nell’altro e il realizzarsi solo all’interno di esso. Solo così è possibile una politica che non veda più al suo interno una logica violenta di sopraffazione, fondandosi invece su un continuo amore per l’altro, in un infinito donar se stessi senza voler nulla in cambio.
“L’ospitalità precede la proprietà; l’Altro è in me prima di me:l’ego implica l’alterità come propria condizione”
Derrida si inserisce,allora, in un filone di pensiero che tenta di riformulare un “doppione non dogmatico del dogma cristiano, un doppione filosofico, metafisico e in ogni caso pensante che ripete senza religione la possibilità della religione”, in quanto soltanto facendo proprio quel nucleo escatologico, proprio del primo cristianesimo, se pur accuratamente decostruito e secolarizzato, si potrà fondare una politica radicalmente nuova, “a- venire” e democratica che vede nell’altro il suo unico centro.
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