Tempo di mimose in ogni giornata dell’anno
C’era una volta una principessina che si ridusse a vivere, per sfuggire al malinteso amore del re suo padre, vedovo consolabile, dentro una pelle d’asino. Finché, dopo tante peripezie non arrivò il principe ereditario a spezzare il maleficio e la fanciulla, denudata dell’abito mistificatore, si rivelò in tutta la sua bellezza e nobiltà. E vissero per sempre felici e contenti.
Una favola a lieto fine con la sua ineccepibile morale: amore e fiducia rivestono di dignità e splendore gli esseri umiliati e intristiti.
Il principe liberatore, questo la favola non lo dice, non veniva da lontano ma risiedeva nella stessa creatura vilipesa, come principio e possibilità di affrancamento.
E fin qui ci siamo.
Il fatto è che una volta buttata alle ortiche la falsa copertura, che ne faceva un essere docile e servizievole appeso allo zuccherino, poco interessante ma insomma produttivo e obbediente, la donna si trovò d’un botto a dover fronteggiare la nuova condizione in tutta la sua complessità, spronata e sostenuta da un elementare abbozzo di coscienza da niente e nessuno avvalorata ma anzi deplorata e derisa. Spoglia e senza alcun diritto riconosciuto, esposta a tutti i venti senza uno straccio di tutela, impedita nell’espressione che non fosse un raglio, tranciato sul nascere ogni tentativo di ragionamento sensato, alla povera donna in fase di rivolta, confusa e sprovveduta, capitava perfino di rimpiangere le quattro mura e la ferruginosa catena degli infiniti doveri, parvenza di un rifugio che la riparasse dalle catastrofiche ricadute di ogni intentata conflittualità. Poi si batteva il petto vergognandosi di un tale miserabile retaggio, e via di seguito fra un mea culpa e uno scossone al bagaglio disfatto ma ancora carico di deprecabili residuati millenari.
E si arriva all’oggi.
Oggi, vestita solo di sé, la donna spaventa l’uomo, l’altro protagonista della vecchia ma non superata favola. Anche l’uomo, per un crudele dipanarsi di eventi, indossò troppo a lungo la pesante corazza di guerriero, idealista o mercenario che fosse. Al servizio dei poteri di turno e di legislazioni a misura d’uomo. Oggi che di quel ferro è rimasto solo un velo di ruggine, l’uomo si sente spogliato delle prerogative imposte ‒ che costituivano però anche la sua armatura ‒ e razionalmente ne riconosce le pecche, ma millenni di storture non si raddrizzano in qualche decina d’anni. E tanto vale sia per i condizionamenti dell’uomo che della donna, di cui doversi disfare, e non importa chi vada avanti nel processo di autentica liberazione, l’essenziale è che ci si muova assieme nella giusta direzione. Per una comune e progettuale intesa.
E qui si crea il varco.
A tutti noi imboccarlo, in ogni giorno dell’anno, con e senza mimose. Anche per tutte quelle donne che soffocano ancora nella pelle fittizia, per quegli uomini ancora costretti nella corazza che cigola ma resiste. Per un tempo nuovo da costruire nel tempo con pazienza e amore.
Donna del 2021, quanti sprofondi alle tue spalle, quanti valichi ancora da superare. Meglio se con un bel paio di mocassini, riposte le scarpe rosse con i tacchi a spillo come cimelio di tante lotte e tribolate conquiste.
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