Televisione e senso comune
La strada di casa, Rai 1, potrebbe considerarsi un’altra fiction di quelle ‘tanto per passare la serata’ e in parte potrebbe non tradire le tiepide aspettative create da questo genere di prodotti soprattutto in chi, solitamente, preferisce tenersene lontano. Ma la fiction, ben girata – seppure non distante da alcuni meccanismi riassunti qualche tempo fa da un caustico Michele Placido in ‘donne, biga e lettiga’ (con donne sostituito da parola rimabile con le altre due a stigmatizzare quelle sceneggiature ‘polpettone’ che trovano naturale via d’uscita alla mancanza d’idee riparando nella triade scene di sesso, ricovero in ospedale o film in costume) condito dalle banalità più trite – rende gli ingredienti sopra detti, componenti mai avulse d’una trama probabile.
Fausto Morra è il pater familias d’una cascina agricola nel torinese, ma potrebbe essere ovunque, fa affari poco puliti con l’allevamento di bestiame e dà occupazione a molte famiglie; regna con prepotenza nelle questioni familiari fino a rendere la moglie una propria appendice, triste e dipendente, ha un’amante più giovane fidandosi della sua fisicità adulta ma piacevole, protagonista d’ogni sua scelta anche a scapito di quelle dei familiari. Al ritorno da una notte di cui si conosce poco, s’addormenta in auto finendo contro un tir e restando in coma vigile per cinque anni. Al risveglio troverà che tutto intorno è cambiato faticando notevolmente a far combaciare il se stesso che era, una parte di quel sentire è ancora presente, con la nuova scena familiare ed economica del tutto mutata.
La fiction, com’è facile intuire, ben si presta a raccontare la necessità maschile, ma non solo, di cercare nuove strade per essere uomo, padre, marito, lontane dalla non distante, nel tempo, eppure superata educazione patriarcale. L’invito allo spettatore è quello di guardare quest’uomo capace e ben sicuro di sé alle prese con l’imprevisto posto dal destino e poi con l’imprevedibile, portato dai familiari più stretti, più giovani, dalla donna con cui vive. Imprevisto liquidato dapprima come fastidio e poi visto sotto una lente affettiva diversa e, infine, come nuova opportunità. La fiction programmata in prima serata è indicativa del mutare del comune sentire d’una nazione che ritiene che le ingiustizie familiari, sfocianti spesso nel delitto, si debbano superare attraverso una rieducazione dell’uomo, inteso come maschio, ad una visione più paritaria dei rapporti con gli altri; in una visione non più verticistica della famiglia ma di mutuo aiuto e comprensione così come i familiari mostrano di fare, in questo caso, col protagonista. Qui la proprietà dell’uomo sulla donna è esclusa a priori; le nuove generazioni si mescolano con elementi di altre popolazioni (anche se questa ulteriore ‘strada’ è mostrata come quasi più difficile da percorrere di quella verso la fine del maschilismo); trovano posto, inoltre, le nuove problematiche da affrontare portate dal quasi incontrollabile rapporto social-giovanissimi.
Forse troppi argomenti nella sceneggiatura, oltre l’ottima regia di Riccardo Donna che mette in scena il giusto senza strafare: non è un film e il taglio della storia è molto meno austero di come potrebbe essere al cinema. Bravi gli interpreti, dai giovani attori ad Alessio Boni/Fausto Morra a Lucrezia Lante della Rovere/Gloria, davvero convincente nel suo lavorare per sottrazione come si conviene ad un personaggio messo in una situazione tanto difficile. Fino a Sergio Rubini/Ernesto Baldoni, il versatile attore/regista pugliese, calato in un personaggio nevrotico e ‘perdente’ ma irresistibile, e ai molti bravi comprimari. Il comune sentire, il senso comune, per il quale passa lentamente l’accettazione d’un mutamento di costume sessuale, sociale, individuale, in divenire già da molto tempo, può evolvere anche grazie a prodotti d’intrattenimento di massa ben fatti. (Serena Grizi)
Alessio Boni – immagine web
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