Teatro ma non sempre
Riadattato a pièce teatrale e presentato a Roma al teatro Valle, prima di una tournée che lo ha portato attraverso l’Italia per tutto il mese di gennaio, è arrivato il ‘caso’ letterario Gomorra, in una produzione del Teatro stabile di Napoli Mercadante. ‘Caso’ esploso questa volta non (sol)tanto per la qualità della scrittura fluida e veloce, a mezza strada tra il reportage giornalistico, la cronaca martellante e il giallo-denuncia alla Sciascia, ma anche per la forza di suggestione che non può non trasmettere la vera passione civile. Perché solo così si può chiamare il motore capace di spingere un ragazzo di 28 anni a frequentare le aule di giustizia per seguire i processi, a frugare tra i fascicoli sgangherati delle cancellerie, a seguire le voci stesse dei protagonisti delle vicende malavitose per ‘snidare’ il virus camorra. Ed esporlo poi, in tutta la concretezza e pericolosità del suo operare tentacolare e ‘sovranazionale’, alla terra che lo esprime in primis, la Campania, ma anche al paese tutto; ad un’Italia avvezza da decenni alla realtà come alla letterarizzazione delle storie di mafia, ma ancora forse distratta di fronte alla corposità delle azioni di camorra, percepita come fenomeno localizzato e addirittura quasi folcloristico. Forse anche per via di quel vernacolo bonario, il napoletano che il grande teatro di Scarpetta, Viviani ed Eduardo ci hanno abituato a gustare, e che sembra trasformare ogni realtà, per quanto dura o criminosa, in un ‘pezzo’ di teatro con cui declinare tutta la gamma dei personaggi, dal ‘guappo’ da macchietta al ‘giusto’ pensoso e risentito del Sindaco del Rione Sanità. Ed ecco perché, a nostro avviso, proprio questa operazione di drammatizzazione del romanzo (con la teatralmente inevitabile riconversione al vernacolo della scrittura di Saviano) non andava fatta. E bisognava lasciare affidato solo al ‘vettore’ parola, nella scarna sobrietà dello stile dell’autore, il compito di accendere il faro su quella realtà. Checché ne dica Saviano stesso in una sorta di giustificazione dell’operazione compiuta: “Il Teatro è uno spazio altro, altro da media, dai fogli, né piazza né stanza” che offre “gli strumenti per mettere a fuoco la verità…trovare il punto di vista che non renda semplice ciò che è complesso, ma che lo renda visibile e leggibile…Il teatro muta in voce ciò che è parola, concede viso, copre con un mantello di carne le parole”. Mentre il ponteggio accennato, “struttura che mettesse in contatto tutte le storie…racconto di una città, immaginata dallo scenografo Roberto Crea, sempre in costruzione o sempre in decadenza” come spiega Mario Gelardi, più che elemento unificante ci appare come una gabbia in cui la traiettoria dei destini si paralizza e la coralità del testo, antologizzandosi in una cornice, perde i contorni di quella verità tanto rincorsa da Saviano, per diventare vuoto e moralistico exemplum .
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