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Tasse uguali per tutti? No, grazie

Dicembre 09
17:27 2010

Dalle ultime rilevazioni di Federconsumatori emerge un dato interessante: la forte disparità nel sistema di tassazione, basato sul modello ISEE, fa sì che figli di gioiellieri e figli di operai paghino talvolta le stesse tasse universitarie. Le indagini che sono state effettuate consultando i siti e le guide delle università con il maggior numero di iscritti, mostrano che gli atenei del Nord sono quelli più cari: del 13,13% rispetto alla media nazionale se si considera la prima fascia delle tasse universitarie (quella base), per arrivare al 31,92% se si considera il massimo importo dovuto. La differenza è ancora più evidente tra il Nord e gli atenei del Mezzogiorno, dove il divario relativo alla prima fascia raggiunge il 25,27%, e arriva fino all’88,87% quando si prende in considerazione la fascia contributiva più alta. L’ateneo più caro (sempre in relazione alla prima fascia) è l’Università degli Studi di Parma con una retta di 865,52 euro annui per le facoltà scientifiche e di 740 euro per quelle umanistiche. Al secondo posto si trova invece l’Università degli Studi di Milano (con una retta annuale di 685 euro per le facoltà umanistiche e 789 euro per le facoltà scientifiche). Gli atenei del Sud applicano tasse più basse, con l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari in testa alle università che costano meno. Degna di rilievo la situazione che emerge dai dati relativi all’anno 2009 resi noti dal Ministero dell’Economia riguardo i costi universitari per le famiglie, i quali mostrano che la maggior parte delle famiglie monoreddito di lavoratori autonomi – come ad esempio i gioiellieri – rientra nella seconda fascia ISEE pagando in media una tassa annuale di 535,34 euro, esattamente come la famiglia (sempre monoreddito) di un operaio non specializzato. Dato davvero curioso, che rispecchia il quadro della distribuzione dei redditi delineato dall’Istat ad aprile 2010. Da quest’ultimo, infatti, emerge che il 35,4% dei lavoratori autonomi percepisce un reddito al di sotto dei 10.000 euro annui (pari ad un ISEE di circa 5.000 euro), rientrando così nella prima fascia di contribuzione della maggior parte delle università. Al contrario, il 49,7% dei lavoratori dipendenti percepisce un reddito compreso tra 15.001 e 30.000 euro annui, rientrando quindi, a seconda dei casi, nella seconda o nella terza fascia contributiva.
Ma a causa dell’autonomia universitaria ogni ateneo ha un suo sistema di assegnazione di fasce; allo stesso tempo la situazione reddituale delle famiglie presenta forti differenze nelle varie parti del Paese. Il problema che l'”Unione degli Universitari (UdU)” solleva da tempo risiede nella divisione in fasce: gli studenti per pochissimi euro di ISEE si possono trovare in fasce diverse e pagare, invece, centinaia di euro in più. Allo stesso modo, spesso, l’aumentare dell’importo delle tasse non è proporzionato all’aumento dei redditi. La tassazione è calcolata in base al modello ISEE che valuta la ricchezza di una famiglia ma presenta alcuni aspetti critici, tra cui il fatto che le diverse fasce dell’ISEE sono “tropo larghe”. Chi guadagna 10.000 euro all’anno rientra nella prima fascia (quella più economica) ma chi ne guadagna solo 5 mila in più rischia di finire automaticamente in seconda o terza fascia, pagando molte centinaia di euro in più nella tassazione. La soluzione è stata rintracciata dall’UdU nel sistema di tassazione continua, eliminando le fasce, e permettendo così un contributo personalizzato in base alle proprie disponibilità.

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