Il saluto di un amico a Roberto Nicosanti
Roberto lo conobbi nell’estate 1978, quando fummo compagni ad un campeggio in Abruzzo: lui 11 anni, io 12. Due settimane isolati dal mondo, le notizie ci arrivavano quando qualche visitatore veniva a farci visita. Sorrideva spesso, quel ragazzino riccioluto e rispettoso. Non poteva fare a meno del suo sorriso sgargiante, faceva parte del suo modo di essere. Era pronto a qualsiasi fatica (eppure la paraculite dilagava!), segno che in famiglia era stato educato al lavoro con l’esempio: si andava nei boschi a procurarsi legna per il fuoco serale, quando il falò era il nostro focolare domestico. Si cantava, si scambiavano battute, si cresceva insieme. C’era anche un cugino di Roberto, Fabrizio: finito il campeggio lo persi di vista, poi, a una quindicina d’anni di distanza, fu un torneo di calcetto a lui intitolato a farmi gelidamente dedurre quel che era successo.