Oltre al festival di San Remo, altre due scadenze mi pare abbiano caratterizzato il trascorso febbraio: il ventennale di Mani Pulite e il pronunciamento della Corte dei Conti sulla corruzione.
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È bella ‘a Rocca quandu fiocca: ‘a neve moga moga tuttu ‘mbianga o bellu che sta o buonu che manga, però pure essa n’ètè tutta rose e fiori sgraffigna ‘ssai
In centimetri le dimensioni fanno 21 in altezza, 31,5 in larghezza. Da proporlo rettangolare nel senso di un album per fotografie, di quelli che col digitale non si vedono più.
O zuru deu mare mmidioche gnente u scotegnente u cambianiciunu u frega,se ‘i fa ‘ntuortuè come se ‘i facessi ‘na sega.
Doa tre quattr’ore robbate au destinu, robbate aa fatica, au dispriezzu, au lavoru da bestia marpagatu come npruncu senz’acqua lasciatu, ore de libbertà, de padronanza de ti stiessu, de mbriachezza
Con la corruzione stiamo di nuovo a tavola. Non è bavosità di anziano, frustrato, rancoroso. Lo cantano quelli della Corte dei Conti. Meglio di loro non lo sa nessuno. Servono persone oneste. Il senso è questo: chi fa politica deve sentire spirito di servizio e sapere che dovrà fornire tempo e qualità senza aspettarsi né pretendere ricavi monetari.
E’ nata ‘a lunaChe ‘e stelle ‘ngieluSpariscenu a una a una,esso l’arba come na cannela ‘ccesa,se sbalanga ‘na perziana come n’ala stesa.Nu vallu fa chicchirichì ecco‘n’aru responne loco.
Marcello Gatta, classe 1920, morto a novembre scorso, va ricordato. Non solo per l’alta qualificazione personale, non solo per egli firmato nel 1997 il vocabolario del dialetto rocchiciano, fatica non banale, “tributo d’onore al Paese dove sono nato, testimonianza della nostra cultura”. Viene, l’opportunità di ricordarlo, dalla considerazione che da lui, e da altri come lui attrezzati, sarebbe potuto venire a Rocca di Papa un livello di pubblica amministrazione pregiato, mai realizzato nel periodo repubblicano.
De lle quattro fronnacceChe ngora pe pocu ngima ai ramiFau compagnia ai cellettiA quaduna remane llu verdeDai riazzi coloratu coi gessetti,are teu ngiallu slavatu,are nu rosciu ngrumatu.Ntantu ‘a sera calaTegne
La regola da cui deriva l’aggettivo ROCCHIGIANO non la troverai. Non c’è. Così come non esiste la regola che santifichi ROCCHEGGIANO. L’appellarsi delle popolazioni è un porto franco che non riconosce regole, elimina previsioni, si smarca da ogni schema. Vediamo. Chi la regola ipotizza, elenca quattro suffissi: -ese, -ense, -ano, -igiano, che già risultano abbondanti per stabilire un punto fermo.
Dea natura tuttu è belluTuttu sfila,tuttu spiomma,tuttu se combina Come trento ‘a na mente fina,‘a cima è deu monteU fiume è dea valleI penzieri so dell’uommini,ma l’uommini de chi so?Se
L’analisi è conclusa, il risultato è questo: siamo una società che non ha più un centro di forze etiche capaci di unire i cittadini come una forza di gravità invisibile, fatta di rispetto delle regole, di eguaglianza di cittadinanza, di riconoscimento della capacità. In pratica, quella sorta di colla morale capace di tenere insieme una comunità di individui liberi e autonomi si è essiccata, sfrenando l’individualismo più accentuato. La dimensione privata (intesa per giunta come la sfera dove “tutto è lecito”) ha preso il posto più alto nella classifica dei valori, rilasciando autorizzazione ad acquistare potere e privilegi, non importa con quali mezzi.
Contro il ballo, niente da dire. Se il ginocchio regge, a ballare voglio imparare. Il ballo mantiene, diverte, aggrega. Compatta. Si separano poco poco le coppie ballerine, secondo statistica. Tutti lo sappiamo, non serve propaganda. Così, Pompa piena, per la “fiesta” nostrale. Tante esibizioni, tanta movida, tanto gradimento. Tanti ringraziamenti. A chi anche quest’anno l’ambaradam ha ammannito. Però.
Tu te catameni e te ‘mbardanziscipecché ‘ncapisci, te credi de sta trento a ‘nmazzu de rosepecché ‘nza come stau ‘e
Tenemo passa settant’anniE coi sordi alemo sempre penatu,au soggiornu coll’Anzianimagara gnunu pe’ contu siuqua vota ha penzatuma mai tra noa