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Svetlana Aleksievič, Premio Nobel per la Letteratura 2015, e i nuovi volti del male tra Russia, Ucraina e Černobyl’

Svetlana Aleksievič, Premio Nobel per la Letteratura 2015, e i nuovi volti del male tra Russia, Ucraina e Černobyl’
Maggio 02
16:58 2022

«Il poeta russo Aleksandr Blok afferma: “tutto ciò che è russo è triste”. Io potrei definirmi cronachista di questa civiltà delle lacrime e della sofferenza. Da vent’anni ormai scrivo la storia del piccolo uomo e della grande utopia. Questo Paese, il Paese dell’utopia, dell’utopia comunista non esiste più e quanto più questa esperienza si allontana nel tempo, tanto più assume le caratteristiche di un mito e appare incapace di restituirci ciò che è stata davvero. Perché l’utopia comunista, così come è stata realizzata, era sanguinaria, ma continua a ipnotizzare le menti degli uomini. Da vent’anni sto raccontando la sua storia attraverso le voci di coloro che l’hanno vissuta. Il mio modo di scrivere e di narrare è nato nel momento in cui mi sono resa conto che l’arte non riusciva a star dietro alla vita delle persone: il mondo cambia in fretta e molte cose della vita sfuggono all’attenzione di uno sguardo artistico. Per il fatto di essere cresciuta in campagna e di essere giornalista ho viaggiato molto per il Paese, ho parlato con molte persone e mi sono resa conto che in ogni uomo c’era un testo, piccolo o grande che fosse, degno di nota. Allora mi sono chiesta: perché non ricavare da ognuna di queste voci una o due pagine, così da ottenere un tessuto, un «romanzo» in cui entri ogni mio interlocutore?» sono le parole di Svetlana Aleksievič, giornalista e scrittrice bielorussa di madre ucraina e Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, autrice del volume Il male ha nuovi volti. Černobyl’, la Russia, l’Ucraina, ed Scholé, con Introduzione di Goffredo Fofi e curato da Alberto Franchi e Sergio Rapetti. Pagine che mostrano come la letteratura anticipi e possa essere d’aiuto a comprendere il presente.
Le decine di esperienze raccolte dall’autrice ripercorrono i nodi cruciali della Russia e dell’Ucraina e aiutano a capire il nostro oggi: la grande utopia del comunismo e la sua fine, la Seconda guerra mondiale e la guerra dell’Armata rossa in Afghanistan e infine l’insorgere della paura ecologica scatenata dal disastro di Černobyl’ e la guerra del Donbass. Lo sguardo giornalistico fa posto alla profonda empatia e capacità di avvertire il dolore degli altri, riuscendo a trasmetterlo e soprattutto a comprenderlo.

«Le persone che Svetlana ascolta e di cui trasmette il dolore sono persone vere, le loro fatiche e il loro dolore non tollerano le astuzie della letteratura, e anche questo è un grande merito di questa scrittrice-mediatrice, in un’epoca in cui va di moda (è un consumo tra i tanti) che si finga di partecipare alle sofferenze del mondo leggendo scrittori e scrittrici che se ne dicono portavoce, e che lo fanno a fini di successo e di lucro» – scrive Goffredo Fofi nella sua Introduzione al volume. «Unica infine l’intenzione, unico il progetto: quello di “piangere insieme”» continua Fofi «Nella speranza o nella prospettiva di reagire insieme?

Anche questo, certo, perché se è vero, come ci ricorda Sergio Rapetti, che Svetlana ha detto che “sulle barricate la vista peggiora” è però anche vero che ella guarda con fiducia a coloro che “scendono nuovamente per strada” e “si prendono per mano”, e protestano e si confrontano, ed elaborano nuove strategie per nuove lotte sentendone la necessità nella loro pelle, anzi l’indispensabilità. La speranza e la carità sopravvivono alla perdita della fede, e possono sembrarci oggi più importanti della stessa fede». Intense pagine autobiografiche che costringono a confrontarsi con la propria precarietà, sco­prendosi indifesi di fronte a una nuova dimensione del male, a minacce impalpabili, a nemici invisibili quanto inesorabili.

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