Suonali ancora! Kind of Blue, 1959
Arriva all’incirca un minuto dopo la tromba di Miles Davis, sovrapponendosi all’intro di pianoforte di Bill Evans e ai due-accordi-due del contrabbasso di Paul Chambers; ma quando arriva, sinuosa e pulita e affilata ci accorgiamo di aver superato la 17a Strada e Downtown, sgommando a tutto gas verso il Village.
È tale l’effetto che fa l’ascolto di So What, la prima traccia di A Kind of Blue, il capolavoro del jazz modale inciso dallo storico sestetto davisiano nell’estate del ’59. E si dovrebbe avere la volontà di calarsi nella New York di più di cinquant’anni fa, con i jazzisti neri che si fanno fotografare davanti al Vanguard in giacca e cravatta, ancora più eleganti dei loro colleghi bianchi, determinati come non mai a ristabilire il vantaggio momentaneamente perduto con l’affermarsi del jazz bianco, cool, di Gerry Mulligan e Chet Baker, e del fin troppo accomodante Pacific Jazz della costa Occidentale. Soltanto così si riuscirebbe a capire, ad esempio, i molti aspetti, contraddittori, di un’America perennemente in fiamme, come i recenti fatti di Ferguson e di St. Louis stanno a dimostrare. È chiaro, siamo lontani, lontanissimi dalla rabbia a volto scoperto del Malcolm semper Malcolm (inteso come X) di Archie Shepp o dall’appassionata Freedom Now Suite di Max Roach, ma il fraseggio mono-tono epperò sempre limpido di Davis, che caratterizza i cinque brani del disco, non deve ingannare: un’arte dei suoni di altissimo livello che può, ancora adesso, far ribaltare il pensiero.
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