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Sulle tracce della regina Zenobia

Agosto 11
02:00 2007

Occhi neri e vivacissimi, carnagione scura, voce forte e chiara, di una bellezza straordinaria, abilissima nell’andare a cavallo, capace di marciare a piedi per molte miglia insieme ai soldati – così descrive l’Historia Augusta la regina Zenobia di Palmira, città carovaniera della Siria facente parte dell’impero romano. Regina nella seconda metà del III sec. d.C., Zenobia aveva come modello Cleopatra, e come lei avrebbe voluto creare un impero di tipo ellenistico. Per questo alla sua corte chiamò come consigliere il filosofo neoplatonico Longino. La regina conosceva anche diverse lingue: il palmireno, l’egiziano, il greco ed il latino. Riuscì a rendersi autonoma sia da Roma che dall’impero sassanide-persiano, finché l’imperatore Aureliano conquistò la città di Palmira e catturò la regina Zenobia. Quando gli abitanti di Palmira si ribellarono, Aureliano rase al suolo questa città, dai ricchi santuari e colonnati stupendi. Condusse, poi, Zenobia a Roma esibendola nella celebrazione del trionfo carica di oro e gioielli, bottino di guerra. La regina fu, infine, portata a vivere o nella splendida villa Adriana di Tivoli o lì nei pressi, in un’altra villa che gli archeologi individuano in quella attribuita ai Lolli ed i cui ruderi si trovano ancora nella località Colli di Santo Stefano, sul bordo settentrionale del fosso di Ponte di Terra, tra questo e la via di Pomata. “Accidenti! – mi dice Raimondo Del Nero voltandosi verso di me – La tavoletta al 25.000 dà un’indicazione sbagliata: abbiamo percorso 800 metri dal Ponte di Terra ed il ponte romano non si è visto ancora”. Io e Raimondo Del Nero, studioso del territorio del Lazio Antico, siamo nella forra in località Colli di S. Stefano ed è la terza volta che la percorriamo alla ricerca del ponte romano riportato dalle mappe senza averlo ancora raggiunto. È senza dubbio la forra più impervia dell’area castellana che io abbia esplorato alla ricerca di ponti di acquedotti romani. Il ponte di questa forra non è stato ancora fotografato da me e da Del Nero e, dunque, questo sacrificio va affrontato di buon animo, oltre che con un equipaggiamento adeguato all’ambiente. Vicino a questo ponte dovrebbero trovarsi i resti della villa dei Lolli dove, per alcuni archeologi, ha vissuto Zenobia. Stavolta proseguiamo. Percorriamo ancora 300/400 metri, continuando a scavalcare i tronchi degli alberi che sbarrano il percorso. Crollati negli anni per dilavamento, questi alberi conservano ancora quasi tutta l’originaria livrea. Tra il fitto fogliame il sole fa brillare l’acqua del torrente che intorpidiamo camminandoci dentro con gli alti stivali di gomma. Vicino a me scivola via spaventata una biscia d’acqua. Il mio compagno di esplorazioni è un pezzo avanti a me, quando mi giunge la sua voce che mi avvisa di essere in vista del ponte. Cerco un varco tra i rovi attorcigliati, il terreno accidentato e l’acqua del torrente. Più avanti l’ambiente cambia di colpo: tutto è pulito, sui bordi della forra ci sono piante in fiore e l’acqua scorre inglobata dentro una vasca fatta con grossi blocchi di pietra. Sullo sfondo campeggia finalmente il ponte romano alto 17 metri e ben conservato. Tutte le pubblicazioni riportano vecchie foto del ponte risalenti probabilmente all’inizio del ‘900, in mezzo ad una natura selvaggia. Io e Raimondo Del Nero lo fotografiamo nella nuova versione. Guardando verso l’alto sul bordo settentrionale della forra scorgiamo alcuni resti di una villa romana: è quella dei Lolli. Un viale in cemento risale la forra, al suo ingresso si legge la scritta: Villa Zenobia. È evidente che ci troviamo, nostro malgrado, all’interno di una proprietà privata. Poiché il ponte è stato chiuso con un’inferriata, siamo costretti ad uscire dalla forra per raggiungere la strada che ci deve riportare indietro. Coperti di graffi e di fango attraversiamo un vasto parco pieno di ulivi, ma non abbiamo scelta: alla fine del vialetto i cancelli sono chiusi e dobbiamo suonare ad uno dei videocitofoni posti nei dintorni. “Da dove siete entrati? Come avete fatto?” – ci chiede il proprietario costernato. Chissà da quanto tempo nutriva la convinzione che nessuno potesse entrarci! Fatichiamo un bel po’ per convincerlo che siamo partiti da San Vittorino, abbiamo attraversato il Ponte di Terra, entrati nel tunnel scavato nella roccia in epoca arcaica (prima opera ingegneristica del Lazio antico), infine, abbiamo percorso per oltre un chilometro la forra come due Indiana Johns per vedere e fotografare il ponte romano. Grazie alla cortesia del proprietario torniamo indietro passando dalla strada. Soddisfatta, guardo le montagne intorno ricche di templi dedicati ai culti della Bona Dea (Madre Terra), culti femminili entrati a far parte della civiltà occidentale. E Zenobia? La colta regina dallo spirito ellenistico, che qui ha vissuto con libertà di muoversi, deve averli visti senz’altro. Forse anche lei, come i prischi latini diversi secoli prima, ha ritrovato qui la sua origine nei culti della “Grande Madre Mediterranea”, pensando alle parole del re Latino rivolte ad Enea ed agli altri troiani, appena sbarcati sulla costa tirrena: “Andate a cercare l’antica Madre. Sappiate che i Latini sono progenie di Saturno, giusti non per vincoli di legge ma per propria volontà”.

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