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SULLE ORIGINI DELLA DIOCESI TUSCOLANA  (1)

Aprile 24
07:58 2020

    Una chiesa locale è data da quella “porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da questi radunata nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e della Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica”, così afferma il concilio ecumenico Vaticano II (CD n.11). Tale chiesa si radica in un particolare territorio caratterizzato da una propria storia, per la quale i fedeli cristiani in una stessa comunità vivono e agiscono – insieme a credenti di altre fedi e a non credenti – e sono legati da una reciprocità di rapporti e dalla partecipazione solidale per realizzare una società più ‘giusta’ (una ‘terra nuova’), impegnandosi secondo la propria vocazione e i propri carismi. In particolare, per crescere nella vita di fede una comunità cristiana non può ‘privilegiare’ alcuni aspetti rispetto ad altri, come potrebbe essere ad esempio la sola catechesi sacramentale o un indottrinamento esclusivo o un impegno di ‘carità’ (quest’ultima talvolta ridotta a filantropismo o ancor peggio, a saltuaria elemosina) separato da una evangelizzazione comprensiva di promozione umana. Se su queste affermazioni non ci dovrebbe essere disaccordo, così come dovrebbe essere anche ‘scontato’ che una comunità cristiana è sempre orientata ad un futuro ‘escatologico’,  ciò che spesso è assente (o per lo meno molto carente) nelle nostre comunità, è la capacità di una lettura sapienziale (e sinodale) dei ‘segni dei tempi’  e quindi dell’oggi (si v. Mt 16, 1-4); ma in particolare è carente anche una  lettura della storia che non può essere lasciata solo al racconto da parte delle generazioni precedenti (di cui purtroppo in questi mesi di pandemia abbiamo dovuto lamentare una dolorosa e ampia perdita), che hanno supplito (talvolta) all’aridità spirituale/culturale della secolarizzazione odierna e alla (per lo più colpevole) cancellazione o ignoranza delle proprie radici,  per vivere in una sorta di eterno presente. E proprio sulla sua storia specifica la nostra chiesa locale (diocesi) riscontra una mancata attenzione e conoscenza, così alimentando spesso una serie di peregrine e inaffidabili informazioni.

Con una serie di articoli su questo giornale, mi cimenterò a narrare, almeno nelle sue grandi linee, la storia della nostra chiesa locale, servendomi esclusivamente di una documentazione certa e verificabile senza ignorare la varietà di ipotesi e spesso la loro inconsistenza sulla data delle origini della diocesi e anche sulla ubicazione delle sue sedi, considerando che la cosa migliore è quella di affidarsi alla documentazione storica esistente, per quanto questa possa essere comunque carente.

Intanto non si può affermare con certezza – come molti sono tentati di fare – che i primi evangelizzatori del territorio tuscolano siano stati Pietro e Paolo prima di arrivare nella città di Roma o dopo il loro arrivo. Ma anche fosse stata verosimile questa ipotesi, non avrebbe comunque nulla a che vedere con l’origine ‘formale’ della nostra diocesi. Già due secoli prima dell’avvento del cristianesimo, vi erano ebrei in Roma ed è fuori di dubbio che fossero presenti, già nel primo secolo d.C., molti cristiani (sicuramente alcuni di questi ebrei convertiti al cristianesimo) tanto che saranno proprio questi ad accogliere Paolo in quella parte della via Appia che corrispondeva al litorale romano. Si legge infatti negli Atti: “Quindi arrivammo a Roma. I fratelli che avevano sentito parlare di noi, ci vennero incontro fino al Foro Appio e alle tre Taberne. Paolo nel vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio” (Atti, 28, 15). ‘Tre Taverne’ indicava una stazione di sosta, a una cinquantina di chilometri da Roma, che serviva di ristoro per viandanti e in particolare per i soldati e cavalieri romani di passaggio. Gli ‘Atti’ furono scritti intorno al 70-80  d.C. dall’evangelista Luca, forse riprendendo la testimonianza dello stesso Paolo o di un suo collaboratore.

Come detto, è alquanto improbabile però che siano stati Pietro e/o Paolo a diffondere il cristianesimo nel Tuscolano, (addirittura negli anni 50 d.C !) come afferma, pur con qualche dubbio, P. Mascherucci (Storia di Tuscolo, seconda parte: ‘Da Augusto alla distruzione’, p.19) riprendendo una precedente informazione di don Serafino Caccia (Memorie cristiane nella città di Tuscolo nei primi secoli, ‘Bollettino diocesi tuscolana’, luglio 1932). Lo stesso Domenico Barnaba Mattei (Memorie istoriche dell’antico Tuscolo oggi Frascati, Roma, 1711 p.111), scriveva: “…di che tempo e da chi fusse portata nel Tuscolano la vera Fede, non ne abbiamo tradizione, che certa sia. Suppone Ughellio, che ciò avvenisse o per mezzo de Santi Apostoli Pietro e Paolo, allorché questi predicavano in Roma e né luoghi adiacenti; o per mezzo dé loro Alunni e Discepoli”. Dal che è evidente come lo stesso Mattei dubitasse della supposizione dell’Ughelli.

Ma, come scrive G. D. Gordini, “il legame con la prima sede romana può essere all’origine della tradizione della ‘missione petria’ così diffusa nelle narrazioni leggendarie sorte nei secoli seguenti. L’esistenza di un legame ‘teologico’ con la sede primaziale italiana si trasformò in molti scrittori in fatto storico” (cf G.D. Gordini, ‘Il Cristianesimo in Italia’, in: Storia della chiesa. Le origini, diretta da H. Jedin, vol I, Jaka Book Milano,  (1975),2016)

Intanto l’ipotesi di una evangelizzazione diretta della ‘zona tuscolana’ da parte di Paolo dovrebbe essere comunque scartata. Infatti come è noto – riassumendo rapidamente le peripezie dell’apostolo, più dettagliatamente raccontate nel libro degli Atti – Paolo era stato incarcerato nella città di Filippi insieme con Sila (o Silvano) per un presunto turbamento dell’ordine pubblico. Però dopo la flagellazione e una notte passata in prigione, entrambi furono liberati dai magistrati della città, tuttavia Paolo si volle appellare a ‘Cesare’, cioè all’imperatore, perché possedendo la cittadinanza romana non avrebbe dovuto essere flagellato. Sicché, dopo aver evangelizzato altre città greche: Tessalonica (Salonicco) – anno 50 – Atene (‘discorso all’aeropago’), Corinto, Efeso, ecc., e intrapreso altri viaggi missionari (di nuovo Efeso e Corinto e ancora Filippi, ecc.) e, giungendo infine a Gerusalemme (58 d.C.), al capo (Giacomo) di quella chiesa racconterà delle varie conversioni dei pagani. Ma anche in questa città a causa della predicazione paolina, scoppierà un tumulto per cui il centurione romano anche qui intenderà far flagellare Paolo; questi però fa osservare anche a lui che non si poteva flagellare un cittadino romano che non fosse stato ancora giudicato. Nel frattempo resterà in carcere prima a Gerusalemme quindi a Cesarea marittima (58-60 d.C.), finché il buon governatore Porzio Festo (discendente dall’antica famiglia Porcia del censore Marco Porcio Catone) lo spedisce a Roma dove arriva nel 61 non prima di aver affrontato varie peripezie nel viaggio per mare. Da alcuni si afferma che Paolo arrivasse a Roma già nel 56. A Roma, la sua condizione di prigioniero sarà quella di abitare in una casa che aveva preso in affitto, relativamente libero ma incatenato col polso destro ad un pretoriano, per cui i suoi movimenti sono certamente limitati in quella casa, dove tuttavia – come afferma Luca negli Atti – “accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento” (Atti 28, 30-31, cf anche, G. Marchesi, Il Vangelo da Gerusalemme a Roma, Rizzoli Milano 1991). Paolo, dopo due anni di prigionia e dopo il processo, verrà assolto, e, subito dopo la liberazione, se ne partì per l’Oriente arrivando forse in Spagna. Quando tornerà ancora a Roma, affronterà una seconda prigionia finché non verrà ucciso nel 64 o 67 nella zona delle Tre Fontane (già Acque Salvie), durante la repressione ordinata da Nerone.

Nel tempo in cui Paolo giunse a Roma, Pietro era già qui (forse dal 42 d.C.), ma non viene mai documentato un incontro tra i due. Su Pietro si può avere qualche notizia dal Vangelo di Marco, (il più antico storicamente), che ne riporta la predicazione in quanto lo stesso Marco, dopo aver lasciato Paolo e Barnaba, aveva poi seguito il pescatore di Galilea di cui fu fedele interprete della sua predicazione in Roma.  (1 CONTINUA)

 

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