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Sul “fatalismo” delle genti meridionali

Luglio 06
06:08 2024

In Irpinia, come in altre aree interne del Sud, la negazione sistematica ed estesa della cittadinanza, dei diritti politico-civili per le classi popolari, il loro asservimento ai notabili locali, obbliga le giovani generazioni proletarie a mendicare elemosine o favori elargiti secondo sistemi clientelistici e paternalistici, retaggio di un passato feudale: per ottenere anche un lavoro miserabile, precarizzato e malpagato, sprovvisto di qualsiasi tutela, persino per richiedere un banale certificato, i diritti sono svenduti in cambio di voti ipotecabili a vita. Questa mentalità subalterna è il sintomo inequivocabile di una sudditanza culturale, politica e psicologica, è un’eredità semi-feudale, che ispira il fatalismo e la rassegnazione delle genti meridionali: un elemento intrinseco alla “normalità quotidiana”, che induce le persone ad accettare la sudditanza come “stato di natura ineluttabile”, in base ad una inesistente “legge di natura”, che nella sfera storico-sociale non ha ragion d’essere. In effetti, le leggi naturali, o fisiche, non sono affatto applicabili alla dialettica della storia, ovvero ad un mondo attraversato da conflitti, da tendenze e controtendenze poste in costante divenire, che si intrecciano in rapporti di interazione e reciprocità, per cui nulla è immutabile nelle vicende storiche e politiche dell’umanità, come si deduce già dalle rivoluzioni che abolirono i privilegi feudali, la servitù della gleba, la schiavitù. Condizioni che per secoli gli uomini accettarono in quanto “normali”, “fatali” o “ineluttabili”, mentre si rivelarono eliminabili in virtù dell’azione politica di massa. Oggi, in Irpinia si registrano percentuali elevate di “morti bianche” sul lavoro: sono cifre che denunciano uno stillicidio di cui non si parla. In Alta Irpinia, i lavoratori sono endemicamente sudditi, ossia asserviti ai notabili politici locali: com’è noto, le assunzioni in fabbrica sono stabilite applicando vecchie prassi clientelari e familistiche. I segnali di iniziative o di lotte sociali, appaiono deboli, parziali e slegati tra loro. Non vi sono partiti, né soggetti politici credibili e capaci di promuovere una presa di coscienza di massa ed un’auto-organizzazione di classe dei lavoratori nelle nostre zone. Le ciassi lavoratrici subalterne (in Alta Irpinia, come altrove) non hanno mai acquisito consapevolezza e fiducia, non hanno rinunciato alle vane illusioni propinate dai media “mainstream”, dai vari partiti di governi e dalle istituzioni di classe (si pensi al “cretinismo parlamentare” o a “favole ideologiche” simili), ossia quegli organismi statali che operano in funzione degli interessi materiali e dei privilegi delle élites di un neo-capitalismo arido e disumano, liberticida e guerrafondaio, nella sua fase neo-imperialistica.

 

 

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