Sul caso Santoro
Ma veramente Michele Santoro pensa che una sua sospensione di dieci giorni rappresenti “un grave attentato alla televisione”?! La pacatezza e soprattutto la modestia non sono più qualità degne di attenzione a quanto pare, soprattutto nel mondo dell’informazione del nostro paese.
Per chi non abbia seguito la vicenda, ed è legittimo che siano in molti visto che non si tratta di sicurezza nazionale, Michele Santoro nella puntata di ieri della sua trasmissione televisiva AnnoZero, in onda su Rai 2 il giovedì sera, rilancia lo scontro con il direttore generale della Rai Mauro Masi. E’ di pochi giorni fa infatti il provvedimento di sospensione che dovrebbe portare a far saltare le prossime due puntate di Annozero, inflitto a Santoro da Masi per aver pronunciato nei suo confronti un “Vaffan… bicchiere” nella puntata dell’esordio di stagione.
Non voglio parlare della poca furbizia di Mauro Masi che ora si trova come l’imperatore Commodo nell’arena con Massimo Decimo Meridio, gladiatore più scaltro di lui nel corpo a corpo, che oltretutto appare vittima agli occhi del pubblico.
Non voglio neanche parlare del fatto che Annozero ieri ha segnato il record di ascolti come era prevedibile (23,47 di share con 6 milioni 283 mila spettatori).
Soprattutto non voglio parlare della banale corsa allo schieramento partigiano di colleghi giornalisti ed esponenti di spicco della sinistra al grido di “E’ una vergogna…”, “Assistiamo a una gogna mediatica…” (trovassero almeno espressioni originali).
Voglio parlare dell’informazione italiana, che siamo costretti a subire specialmente negli ultimi anni e che in queste settimane sta dando davvero il meglio di sé.
Dove è finito il giornalismo d’inchiesta, dove è finito l’approfondimento, ma soprattutto dove è finita la notizia?
Negli ultimi giorni già la vicenda che ha coinvolto il giornale di Vittorio Feltri ci ha dimostrato che in queste settimane testate appartenenti a diverse fazioni politiche (ormai è bene cominciare ad appellarle così) hanno rinunciato a parlare di notizie in prima pagina (e ce ne sarebbero da trattare, dall’economia alla cronaca ne stanno succedendo diverse…) per parlare di se stessi, il loro ruolo, gli attacchi che subiscono, le strategie immaginate e i loro nemici. Ma dov’è l’interesse per chi legge?
Ieri però si è raggiunto il massimo. Alla luce della sospensione, Santoro in mattinata ha dichiarato ai giornali che si tratta di un “attentato alla televisione”. La sera, poi, avendo a disposizione una trasmissione nazionale che va in onda una volta a settimana sul servizio pubblico, ha pensato bene di trattare il suo caso personale per un numero di minuti che non ho sprecato tempo a contare. Ha spinto la sua replica fino ad arrivare al punto di lanciare una petizione popolare da portare avanti sul territorio, per ribellarsi alla sospensione del programma, giocando sul banale elemento formale che una sospensione a lui non dovrebbe significare una sospensione dell’intero programma, e rivendicando una delle cose che un giornalista dovrebbe evitare o almeno tenere nascosta, ovvero il fatto che la sua trasmissione è la voce solo di una parte della popolazione, nella fattispecie, nelle sue parole, “della procura di Milano e degli operai FIOM”.
Siamo ormai all’autocelebrazione che prende il posto della notizia, al giornalismo di corporazione, all’uso privato del mezzo pubblico, alla mortificazione del contenuto.
Cerchiamo, almeno noi lettori, ascoltatori e fruitori dell’editoria, di non farci fregare, come è successo ai politici e come è successo ai giornalisti, più che colleghi figure che ricordano ormai i membri di una confraternita (Serena Dandini ha subito fatto in modo di assicurarsi la possibilità di parlare della vicenda nella sua trasmissione Parla con me). Se dobbiamo difendere la libertà di stampa difendiamo la vera libertà, ma soprattutto la vera stampa. Difendiamo la notizia, l’inchiesta e l’approfondimento, ormai in mano a Striscia la notizia e a internet.
“Caro Santoro, stai tranquillo e sereno. Io non mi sento derubato del mio diritto di vedere Annozero e nei prossimi due giovedì sera farò altro, senza nessun problema per la mia cultura e per la qualità della mia informazione”. Questa è la lettera che io scriverei, “atro che chiacchere”, come diceva un mio vecchio amico foggiano.
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