Still life, il cinema d’oriente è più animato che mai
La lentezza della Cina nell’era del telefonino. L’incalzante avanzata economica della nazione della Grande Muraglia, con tutte le ricadute sociali del caso, inizia a farsi spazio anche sugli schermi cinematografici, grazie ai lavori acuti ma anche allegorico di un autore come Jia Zhangke. Durante la costruzione della diga delle Tre Gole – che ha un impatto reale e metaforico sul piccolo villagio di Fengjie, si intrecciano le storie di Han Sanming, un minatore dello Shanxi, in cerca della ex moglie che non vede da 16 anni e dell’infermiera Shen Hong, sulle tracce del marito che non torna a casa da due anni. Un incrocio di destini che rende simbolicamente le ansie (vedi l’acqua che sale e sommerge via via il territorio) di una società che si connette alla rete internet e, attraverso questa) al resto del mondo ma fatica a muovere il corpo lento di una nazione-continente gravata dal peso-resonsabilità di una tradizione millenaria. I timori di Jia Zhangke diventano anche quelli dello spettatore che segue il filo di surreali incursioni extraterrestri, sullo sfondo di un’analisi che il regista rende quasi etnografica. E i due protagonisti, che non mancano di esprimere in modo anche ironico le idee dell’autore sulla modernizzazione cinese, sono l’emblema di due movimenti opposti, uno teso all’accettazione l’altro al rifiuto del nuovo e del cambiamento. Così dove gli esseri umani non riescono a vedere chiaro sul futuro, gli oggetti inanimati (still life, appunto) non solo scandiscono i diversi capitoli del film ma fungono da vettori di socializzazione (vedi il dono della caramella che segna l’avvenuta integrazione di Han). Le riflessioni sui mutamenti in oriente sono solo all’inizio dunque e il cinema si offre come ottimo strumento di indagine e analisi. Ancora una volta.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento