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Stefano Benni a Rebibbia

Stefano Benni a Rebibbia
Luglio 25
14:57 2013

stefano benniRoma. Il 12 giugno scorso Stefano Benni ha incontrato i detenuti che frequentano il corso di giornalismo radiofonico presso la biblioteca interna della casa circondariale di Rebibbia ed altri detenuti dell’ala maschile. I ragazzi si erano preparati a fondo su Di tutte le ricchezze – Feltrinelli 2012, e sul malinconico e maturo professor Martin, ritiratosi a vivere ai margini di un bosco. Dalle domande e risposte, riconosciuto il coinvolgimento nella vicenda da parte di molti, con loro grande sorpresa è scaturito che Martin non è l’alter ego di Benni e anche se l’autore poteva aver vissuto un periodo di malinconia e di ripiegamento su se stesso, quel momento era passato lasciandolo, forse, innamorato e felice.

Innamorato di chi, di che cosa? Rispondeva evasivo lo scrittore: «Ma del lavoro, della vita più di prima e forse…di una donna.» I ragazzi ne hanno voluto sapere di più e così si è dipanato un dialogo di oltre un’ora nel quale ognuno ha trovato le corde giuste per raccontare come e quando ha scoperto la lettura, parlare della donna ideale, delle attuali mogli e compagne e dei sogni che ci sono sempre, che non bastano le sbarre a spegnerli. Qualcuno ha detto di aver scoperto la lettura in carcere dovendola considerare, prima dell’incontro da adulto, una specie di sonnifero:«Mi dicevano: se non prendi sonno leggite du’ pagine». «Ovvio – fa eco Benni – con queste premesse non è facile diventare lettori; come le mamme che si lamentano del figlio che non legge e io domando, ma ci sono libri in casa? No! E cosa deve leggere allora ‘sto ragazzino, le etichette dei barattoli?» E poi, ancora, si dialoga di vita in montagna, l’infanzia di Benni sui monti emiliani, e di vita in città, di ballo, di serate fra amici e della solitudine che l’autore cerca, ma solo per scrivere. Dopo il momento ‘leggero’ arrivano le note dolenti, proprie dei detenuti o sinceramente interessate alla recente attualità: domandano se l’autore di Bar sport, Saltatempo, Comici spaventati guerrieri sappia della penosa condizione di sovraffollamento carcerario; cosa ne pensa delle droghe leggere e altro. Benni non glissa su nulla, dice la sua come un’opinione fra le altre, non cerca polemica ma un dialogo possibile fra tante menti ed esperienze così diverse. Poi la domanda, portagli con delicatezza, su come avesse vissuto la morte dell’amica Franca Rame che subito Benni descrive come una perdita dolorosa, tanto più considerata la donna attiva e forte che era, anima della coppia Fo-Rame, fiaccata, infine dalla, malattia: «E che mi aveva detto recentemente: “tu sei uno snob del cavolo ma al mio funerale, Stefano, devi venire.” E io sono andato anche se i funerali li evito.» I detenuti, sviano con domande su Jacopo, cercano quasi di consolare lo scrittore tant’è tangibile il filo di simpatia che si è stabilito. Lo intervistano infine per il loro laboratorio che produce un notiziario per Radio Popolare. Nella piccola biblioteca, abbastanza fornita e ben tenuta, non ci era sembrato di stare in carcere, fra la curiosità dei ragazzi, le domande a raffica. Ancora chiacchiere fitte con gli ultimi rimasti, scambio di biografie e notizie fra noi ‘quelli di fuori’ e loro: vogliono verificare con ogni strumento possibile (battute, domande, storie offerte per averne in cambio altre) che la loro idea della realtà non sia troppo sbiadita rispetto a quel che accade fuori, in continua mutazione. Poi, richiamati all’ordine dal personale interno con un impercettibile segno della testa, cominciano a sciamare verso le celle, non prima di esserci stretti la mano, quasi un ‘ci vediamo presto’. Noi usciamo al sole, nell’aria calda di una primavera che non c’è stata e di un’estate che si fa aspettare: l’attesa c’è e la speranza, in moneta spicciola, di giorni di vacanza, sole, bagni, di lunghe serate con gli amici e maggiore libertà, la condizione, abituale per tutti noi, per reiterare le ore migliori dell’esistenza.

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