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Stalking: chi è la vittima?

Dicembre 29
08:10 2011

Quando si naviga nella Rete accade a volte di smarrire la rotta o di farsi tentare da altre rotte… Così, visitando il sito di un avvocato mio amico, mi ha incuriosito, come giornalista, la sezione dedicata allo stalking. Ed eccomi allora navigare in acque non previste e ignote. Mi hanno colpito alcuni casi di stalking con relative sentenze. Lo stalking (direi questo sconosciuto ai più) è un reato entrato a far parte del nostro ordinamento giuridico molto di recente,

con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38), che ha introdotto all’art. 612 bis c.p. il reato di “atti persecutori”, espressione con cui si è tradotto il termine anglosassone to stalk, (letteralmente “fare la posta”), con il quale si vuol far riferimento a condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona. La pena prevista è piuttosto severa: «Art. 612-bis (Atti persecutori). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa». Nella normativa, quindi, non è specificato il movente dell’atto persecutorio. Dalle varie sentenze della Cassazione, invece, sembra di capire che nei casi reali si fa riferimento quasi esclusivamente ad atti persecutori derivanti dalla rottura di relazioni sentimentali (o forse sarebbe meglio dire “sessuali”), per cui stalking è diventato sinonimo di “molestie sessuali”. E pare che anche le molestie sessuali tramite Internet (posta elettronica, social network, messaggeria istantanea, ecc.) possano configurare il reato di stalking. Quello che lascia perplessi è l’assoluta indeterminazione e il relativismo (che a volte ci si rivolge contro…) della configurazione della materia del reato e il fatto che questo viene punito per semplice querela della presunta vittima. Insomma, i maschietti oggi devono stare “in campana”, come si suol dire, specialmente quelli intraprendenti e focosi. Rischiano di trovarsi in galera (o agli arresti domiciliari, perché le patrie galere ormai hanno da tempo esaurito i posti disponibili: anche in galera oggi è difficile trovare un posto!) magari per qualche avance che non è piaciuta alla cattivella rappresentante del gentil sesso. Insomma, bisogna essere molto prudenti. Non è più il caso, se una donna ti fa salire al sangue alla testa, di prenderla e senza tanti complimenti baciarla, come si faceva un tempo quando le donne erano un po’ più femmine e non conoscevano lo stalking, ma erano ben contente che i maschietti prendessero l’iniziativa. Io per primo (rabbrividisco al pensiero) avrei corso un serio pericolo con la donna che ho felicemente sposato. Quando la conobbi era fidanzata con un altro uomo, ma la mia passione non conosceva altro vincolo che quello dell’amore. Dapprima rifiutato, ma sapendo che in fondo le piacevo, ero assillato dal suo ricordo: l’aspettavo nei posti dove sapevo che sarebbe andata e, preso dalla smania di sentire la sua voce, le telefonavo spesso in piena notte, con il risultato opposto, naturalmente, di sentirmi tutt’altro che gratificato dalle sue risposte. Insomma avevo tutti i requisiti di uno stalker in piena regola, di un persecutore. Per fortuna la legge sullo stalking allora non esisteva e la mia caparbietà persecutoria alla fine ha vinto: lei stessa dopo un anno di fidanzamento mi ha chiesto di sposarla.

Nulla da eccepire, ovviamente, sulla natura persecutoria dello stalking, ma quello che mi sembra veramente “ridicolo” e “di parte” in molte sentenze è la motivazione: destabilizzazione psicologica, e via dicendo, operata dal reo nei riguardi della vittima. Non ci sono dubbi che chi subisce lo stalking possa subire un danno psicologico, ma della destabilizzazione psicologica operata, invece, dalla “vittima” sull’autore dello stalking non se ne parla? Non mi riferisco al maniaco sessuale che ha avuto con la vittima un contatto episodico e violento, bensì ai casi (ben più numerosi) di coppie che hanno avuto una relazione consensuale e di una certa durata. Se il partner “piantato in asso”, in questi casi, arriva a compiere atti così gravi come quelli configurati come stalking, non viene il dubbio che lui stesso sia stato destabilizzato psicologicamente da comportamenti della “vittima” non proprio umanamente e razionalmente giustificabili? In molti casi chi è la vera vittima: chi subisce lo stalking o chi lo fa?. Lascerei da parte le motivazioni psicologiche nelle sentenze di stalking: da quando in qua la legge si preoccupa e occupa di psicologia? Lo fa quando le fa comodo? Sarebbe più serio attenersi semplicemente ai “fatti”, che solo possono ricadere sotto la «dura lex, sed lex» di romana memoria.

L’unico punto fermo e incontestabile resta il diritto di non essere perseguitati con atti “materiali” che ledano la propria libertà e pongano in pericolo la propria esistenza e quella dei congiunti, a prescindere da qualunque considerazione morale e psicologica. Lasciamo la psicologia agli psicologi (questi moderni stregoni dell’animo umano), per cortesia! Già loro, poveretti, fanno tanta fatica a dirimersi nei complicati e imperscrutabili meandri del subconscio e finanche della coscienza dell’uomo! Se dovessimo entrare in questo campo, quanti altri comportamenti dell’uomo dovrebbero essere condannati come stalking, se con tale termine intendiamo “far la posta..” a qualcuno, e non soltanto a seguito di un rifiuto sul piano sessuale da parte di un ex compagno di letto. Lo stalking nell’ambiente di lavoro si chiama mobbing, ma si può mandare in galera una persona per stalking e non per mobbing! Ma perché in molti casi una persona (uomo o donna) si espongono a un tale rischio?

Dalla letteratura sull’argomento sembra di capire che la ragione ultima e più profonda è che in molti rapporti la natura della relazione è stata interpretata in modi opposti dai due partner: per uno l’altro era semplicemente un compagno di letto, mentre per quest’ultimo il partner era la persona amata. Due ben differenti percezioni della realtà, dunque! Ma Pirandello c’è lo ha insegnato già da molto tempo: non esiste la Verità, perché ognuno di noi ha la sua verità. Il problema è tutto qui. Il poveretto (o la poveretta) che perde la testa al punto di diventare “persecutore” insegue la sua verità perduta, che è ben diversa o addirittura opposta rispetto a quella del partner perduto. Non perseguita il partner in quanto persona, bensì “perseguita” la sua verità smarrita. Per lui il partner era “il suo compagno”, forse il suo grande amore, mentre l’altro, invece, lo considerava un semplice compagno di letto e i compagni di letto si cambiano, come si cambiano le lenzuola! Il malinteso sta tutto qui. Quelli che sono realmente compagni e testimoni della nostra vita rimangono sempre nel nostro cuore e nella nostra mente: non ci perseguitano mai, al contrario continuano sempre ad amarci e non c’è alcun bisogno di querelarli per stalking.

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