SPRECO ALIMENTARE e CATASTROFI NATURALI
Molti dei nostri comportamenti quotidiani sono in netta contraddizione con gli Obiettivi dell’Agenda 2030.
Con riferimento al Goal 1 “Sconfiggere la povertà”, Target 1.5 “Entro il 2030, costruire la resilienza dei poveri e di quelli in situazioni vulnerabili e ridurre la loro esposizione e vulnerabilità ad eventi estremi legati al clima e ad altri shock e disastri economici, sociali e ambientali”, il recente Rapporto della FAO “The impact of disasters and crises on agriculture and food security” (Fao 2021) avverte l’umanità come la sicurezza alimentare sia sempre più precaria. Essa viene messa a repentaglio da una serie di pericoli naturali, che colpiscono la Terra con una severità senza precedenti. L’agricoltura è alla base dei mezzi di sussistenza di oltre due miliardi e mezzo di persone. La maggior parte vive nei paesi in via di sviluppo a basso reddito. In nessun altro momento della storia l’agricoltura ha dovuto fare fronte a una gamma così ampia di rischi naturali, e continua a patire una quota sproporzionata dei danni provocati dai disastri naturali. La crescente frequenza e intensità dei fenomeni, assieme alla spinta demografica mettono in crisi l’intero sistema alimentare. Tesi rafforzata dal Rapporto Legambiente “Il clima è già cambiato” ( Legambiente 2021), nel quale tra l’altro si legge “L’ONU sottolinea come fino a 600 milioni di persone in Africa potrebbero vivere situazioni di malnutrizione a causa del crollo dei sistemi agricoli in seguito agli impatti dei cambiamenti climatici. Altri 1,8 miliardi di persone potrebbero dover affrontare la carenza d’acqua, soprattutto in Asia. Questo senza dimenticare che già tra il 2008 ed il 2015 si sono registrate in media 26 milioni di persone l’anno sfollate a causa di disastri legati ai cambiamenti climatici, mentre nel 2020 sono state 30,7 milioni, anche in questo caso segnando un nuovo drammatico record”.
Con riferimento al Goal 2 “Sconfiggere la fame”, Target 2.1 “Entro il 2030, eliminare la fame e assicurare a tutte le persone, in particolare i poveri e le persone in situazioni vulnerabili, tra cui i bambini, l’accesso a un’alimentazione sicura, nutriente e sufficiente per tutto l’anno”, e al Goal 12 “Consumo e produzione responsabili”, Target 12.3 “Entro il 2030, dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”, il Sistema “EU Bioeconomy Monitoring System dashboards” ( JRC 2021) permette di valutare lo spreco di cibo a livello delle singole nazioni. Secondo le stime fornite, la maggiore quantità di rifiuti alimentari negli anni considerati è stata generata in Italia. Oltre 270 milioni di tonnellate tra cereali, pesce, frutta, carne, verdura, uova, patate, barbabietole da zucchero, prodotti lattiero-caseari, colture oleaginose, sono state mandate al macero tra il 2000 e il 2017. L’Italia si scopre il Paese più sprecone d’Europa in termini quantitativi di cibo buttato via. Seguono Spagna e Germania, che si attestano su un complessivo spreco a livello nazionale di circa 230 milioni di tonnellate di derrate alimentari. Tra le 27 nazioni dell’Unione europea, non esiste nessun Paese che abbia fatto peggio dell’Italia.
E noi che possiamo fare? Prima di tutto dobbiamo invertire la corsa consumistica ed imparare a consumare di meno, per esempio prendere l’auto solo quando serve veramente, evitando di farne uno sfoggio della propria disponibilità economica. L’unica cosa che si considera è invece la cieca corsa a continuare a consumare sempre di più, alimentata dalla cultura del consumismo e da vent’anni di globalizzazione che hanno drammaticamente accelerato la vorticosa discesa verso la distruzione delle condizioni per la vita sulla Terra.
Jeffrey Sachs, economista e direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University, intervenuto al webinar “A year in review”, alla domanda su quanto sia importante oggi trovare metodi diversi dal PIL per stabilire il successo o il fallimento del Paese, tra l’altro ha risposto:
“È importante ricordare il paradosso di Easterlin (concetto introdotto nel 1974 da Richard Easterlin, professore di economia all’Università della California): il PIL pro capite può aumentare, ma ciò non è direttamente collegato alla crescita del Benessere dell’individuo. Non solo, il PIL pro capite è una media, potrebbero esserci divari all’interno della popolazione. E non si tiene conto del fatto che il PIL pro capite potrebbe diminuire perché aumenta il tempo dedicato alle attività di svago e di riposo e di conseguenza il benessere. Il PIL non permette di cogliere l’aspettativa di vita alla nascita. Ciò non significa che non sia in assoluto un indicatore da utilizzare, ma che ne servono anche altri, basati sui valori sociali, la morale e l’etica.”
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento