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“Spirali” di Maria Lanciotti: una lettura nella quale non ci si perde

Luglio 19
09:51 2022

Maria Lanciotti non è una donna che si perde. Maria nel caso è una che si raccoglie. Come fa senza alcuna casualità in Spirali – Appunti di un vissuto.

Prendete le prime righe di questa raccolta:  

Mi sono specchiata alla fontana: ho visto il cielo tremare.
(…)
Sui muri bombardati batte la palla e sempre mi ritorna.
A noi bambini figli della guerra ci danno pane nero e fichi.

Sembra di conoscerle da sempre e sono di drammatica attualità. L’emozione che le avvolge è inconsumabile, come se la lingua tornasse a battere dove sa che il dente duole e quello duole veramente, sempre.

Spirali, leggendolo, non conoscendo la logica della sistemazione delle liriche, possiede nell’insieme una sua organicità. Non è una lettura nella quale ci si perde.

Le liriche introduttive, quelle che scandiscono ‘i decenni’, possono considerarsi una breve autobiografia. Poi appaiono molte liriche degli anni 2000. Ci si può lasciar portare dalle parole, riscontrando solo di tanto in tanto date e annotazioni. Pur volendo fare una lettura ‘impressionista’, infatti, è interessante osservare il percorso di quelle opere ‒ tra cui diverse tratte dalle precedenti raccolte di poesie ‒ che più hanno riscosso attenzione e riconoscimenti.

Leggo insieme Revisione, Confessione ed Ecclèsia; da Boom e controtendenza a Cicli c’è una poesia che esplode con tratti di tenerezza.

I componimenti L’onda, La pensilina di Alì, Per un impiccato… per stile restano un po’ isolati dal contesto che ha un altro versificare. 

Nella logica del ‘non ci si perde’ pur nel continuo cambio di registri e argomenti, possono ancora funzionare come lavori a sé Magma, Forty Fingers, Pane vero.

In effetti, leggendo fra le pagine, ci sono incastri fatti di rimandi perfetti in un ondeggiare della memoria della quale, è vero, la chiave può avercela solo l’autrice che ha scritto e messo in ordine, ma non sono incomprensibili al lettore: il lettore si può affidare di volta in volta ai versi più immediati, di maggiore presa; può scegliere di leggere passaggi più brevi o prosastici.

Non è raro che si scelga di seguire un testo poetico secondo l’umore… e il testo non deve certo rispettare un qualche ordine esplicito e, è mia opinione, nemmeno trovarsi diviso, necessariamente, per sezioni.

La logica rintracciabile in questo lavoro, la sua unitarietà, crea un insieme piuttosto arioso, con una armonia che a tratti raggiunge “un centro” ‒ ci sono vari centri qui forse ‒ : centri poetici, in cui si alza l’onda dell’emozione, in alcuni casi del dramma. Una scelta precisa che posponendo alcune liriche non si perde.

Nossignori.
La poesia non è
acqua di rose
per blandire
prudori.
(…)
Se vuoi ch’io canti
il mio sentire vero
fammi spiegare l’anima
come vela al vento.

***

Tacciono qui
i rumori malvagi delle lotte assassine
che s’alzano dai fossati dell’odio
e della pena, e canta la città del cuore
le vie scoscese ardenti di papaveri e cardisanti,
l’oro delle ginestre e il guizzare dei ruscelli,
il passo del tempo e dei viandanti.

Difficile concludere con gli scrittori, Maria non è un’eccezione in questo senso, un discorso lineare. Mentre ci parli infilano nel loro lavoro di limatura continua di locuzioni, pezzi di vita contingente, giorni brutti, o malati addirittura, per poi tornare al succo del discorso che nel caso di Maria, credo, sia trovarsi ormai dispersi nei rivoli di tutto ciò che si è espresso. Essere diventati ‘anche quelle scritture’ dipanate nel corso d’un’esistenza, amarle e anche non saperle e non poterle riconoscere, a tratti.

È in questa dualità, moltiplicabile s’intende per altre dualità, e si arriva a numeri grandi, che il poeta e lo scrittore comincia a vivere dopo aver intrapreso e agito per anni la scrittura che è, primariamente, un modo di essere e sentire (senza carta, penna, tastiera): è l’idea che «adesso sto vivendo, anche in maniera complicata, ma quel che faccio e decido tornerà indietro prima o poi, dal cuore percorrerà il braccio destro o sinistro, si espanderà nelle dita, giungerà ai polpastrelli… o dal cervello, scenderà nel collo per arrivare al cuore e ai polmoni e quando non potrà più arretrare ‘nel dire’, e dire non è sempre facile, e poi è troppo immediato, banale, si tradurrà nello scrivere.» 

Lo scrittore tra le ingovernabilità della propria esistenza (il passato, il presente, il proprio corpo) deve metterci anche le sue scritture. Non potrà governarle nel tempo e queste già nell’attraversare l’esistenza qualche volta lo consoleranno, altre volte gli si rivolteranno contro.

La poetessa, narratrice e giornalista Maria Lanciotti se qualche volta l’ho presa a modello non è stato solo per quel che ha scritto. Diverse le esperienze, i modi di vedere, la maniera di guardare all’interazione con altri autori, alla quale personalmente, a ragione del mio percorso, mi sento meno avvezza, ma l’ho presa a modello per tutto quel che ha fatto e per il ‘come’. Il suo è un precedente non unico ma immane nel nostro territorio: una donna che ha vissuto tante vite, fra cui quella della scrittura declinata nelle forme della poesia, della narrativa, della drammaturgia, fra decine di registri diversi, e in una forma, spesso, ‘politico/sociale’: lo sguardo è, insiste, dentro le cose ed interviene non solo per fare arte ma per dire la propria opinione fino in fondo.

Un mistero per me resta anche il ‘dove’ attinga la forza di prodursi in tante direzioni. L’altro è quello legato all’accoglienza che le riserva il pubblico: non per l’accoglienza, dovutale, ma per come il pubblico la accoglie: come ‘colei che sta in mezzo alle cose’. Non come una scrittrice, una poetessa, una cronista che le guarda dall’esterno, ma come scrittrice, poetessa e donna che sta in mezzo esattamente a ciò che scrive.

(…)
Non dirò mai che vi ho dato la vita:
dalla vita vi ho avuto.
Non dirò mai che pronta non ero per avervi:
voi mi avete fatto crescere. 

Siete i germogli che dal petto mi spuntano.

Spirali di Maria Lanciotti, forse l’immagine non le dispiacerà, è come l’orma di un piede sulla sabbia della battigia. La bella impronta d’un piede piccolo, misurata, leggera: i granelli, frutto del lento polverizzarsi della roccia, sono esatti come i pixel delle nuove tecnologie, capaci di scontornare l’orma mantenendo nella forma la freschezza del passo. A volte, guardandole queste orme, viene voglia di poggiarci il nostro piede accanto e fare raffronti se l’impronta ci appare particolarmente delicata eppure netta: immaginare chi era che camminava lì poco prima e accettare poi che i passi si perdano fra centinaia d’altri. Le onde faranno il resto… 

Maria Lanciotti, oltre le liriche scaturite dalla sua esperienza di vita e di pensiero, mostra appieno la consapevolezza del presente complesso che ci accompagna, che contribuiamo a formare.

Nello specifico, il ‘900 è davvero finito e questo nuovo secolo ha partorito generazioni che già bambine sembrano sapere bene cosa volere:

(…)
I bambini non si guardano alle spalle
e non programmano il domani,
ma scientemente saggiano
nelle fenditure del tempo
il formarsi di nuovi paesaggi,
nuove concezioni.

E non dev’essere stata indolore la presa di coscienza, nata dall’osservazione, per una penna dalla quale nascono sovente figure delicatamente bambine, attonite.

E una bambina ricciuta e dagli occhi curiosi sembra di vederla fra le pagine dei suoi scritti. Sempre in ombra dietro la donna che sa descrivere molte gioie, molti dolori; fisicamente appare minuta ma è caparbia e senza paura e già mette un piede avanti, la gamba flessa; pronta a scattare per cominciare tutto daccapo.

 

Fuori da tutte le considerazioni: Spirali illumina la notte con mille fuochi d’artificio, senza essere… artificioso. Non può esserlo. Appare come il succo dolce e amaro, intenso, schietto, d’un pezzo di vita dedicata alla scrittura.

La notte qui (quel che c’è di buio), il momento in cui tutto si ferma, è l’ombra, alterna alla luce che ognuno di noi conosce e fa sì che il mondo, in sostanza, sia così com’è…

(…)
S’attende il mattino
e nuovi intrecci d’argento tra le felci.

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