Sono ateo, grazie a dio!
Di Anselmo d’Aosta (o di Canterbury) io rammento in modo particolare la prova ontologica a favore dell’esistenza di dio (nel Proslogion). In sintesi, tale tesi a priori sostiene che la mente umana può concepire l’esistenza di un ente perfetto, che viene definito come “una cosa della quale non può essere concepita un’altra più grande”. Questo essere non potrebbe essere perfetto se non possedesse anche l’attributo dell’esistenza. Da ciò si deduce che un essere perfetto deve esistere per forza, a priori, cioè a prescindere da qualsiasi prova, o dimostrazione a posteriori, di ordine empirico. Tale tesi venne introdotta da Anselmo d’Aosta alla fine dell’XI secolo ed è stata accolta, tra gli altri, da pensatori quali Cartesio, Spinoza e Leibniz. Tuttavia, una simile formula attesta solo che il concetto di Dio include il concetto di esistenza, come la nozione di penna include il concetto di “scrittura”, ma ciò che la mente umana concepisce non esiste poi necessariamente nella realtà. Già il monaco Gaunilone, contemporaneo di Anselmo, obiettò che: “si può immaginare l’esistenza di isole meravigliose, ma non è detto che esse esistano realmente”. Quindi, Tommaso d’Aquino aggiunse che “tra gli atei non è a tutti noto che Egli è quanto di più grande si possa pensare”, negando così la tesi di Anselmo. Ma fu Immanuel Kant a scrivere la più nota confutazione di tale prova nella sua celebre opera, “Critica della ragion pura”: “essere, manifestamente, non è un predicato reale, cioè un concetto di qualche cosa che si possa aggiungere al concetto di una cosa”, per cui si deduce che nessun ragionamento può mai trasformare la nostra idea di cento talleri (una banconota in uso nell’epoca di Kant) in cento talleri realmente presenti nelle nostre tasche. Il pensiero di Kant ha certificato che è impossibile provare l’esistenza di dio. Rimanendo in tema circa l’esistenza di dio, la concezione del “libero arbitrio”, che nell’opera di Agostino d’Ippona assume un rilievo centrale, anticipa, in un certo senso, l’elaborazione del pensiero ateo. Mi spiego meglio con un paradosso. “Io mi dichiaro ateo”. Ma perché posso proclamarmi ateo? “Grazie a dio”! È la risposta assurda a tale interrogativo, se possibile senza complicare troppo il ragionamento, essenzialmente di ordine teorico. La mia adesione alle posizioni del più esplicito e radicale ateismo, discende da una riflessione logica ed astratta, che può spiegarsi facilmente, “grazie a dio”, sulla base del concetto del “libero arbitrio”. In teoria, se dio non esistesse, tanto meglio, vorrà dire che avrebbero già ragione quanti lo negano. Ma anche se dio esistesse, il discorso ipotetico non muterebbe di una virgola, perché:
1) se, per ipotesi, il vostro dio fosse onnipotente, come asseriscono i suoi vescovi e sacerdoti in Terra, o le sacre scritture, perché mai, dunque, egli non interviene al fine di eliminare, una volta per tutte, il male, la violenza, il dolore e le iatture che affliggono il nostro mondo?
2) invece, se dio non è onnipotente, quindi è incapace di intervenire per combattere il male, la violenza, il dolore insiti nell’esistenza dell’uomo, è come se non ci fosse, per cui sarebbe un ente inutile, una sorta di “soprammobile”, né bello da ammirare, essendo invisibile;
3) la terza ipotesi, la più accreditata, sia dalla dottrina ufficiale della curia romana, che dagli stessi atei, si ispira proprio al pensiero del sommo padre della chiesa, ossia: iddio ha concesso all’uomo il dono del “libero arbitrio”, la libertà di pensare e agire assumendosi ogni responsabilità delle proprie azioni, anche la possibilità di rinnegarlo. Ora, sulla base di simili postulati logici (che forse potrebbero risultare oltremodo banalizzati), si può evincere il percorso astratto e razionale che può orientarsi verso un approdo di tipo ateistico e materialistico. Alla stessa stregua in cui potrebbe anche scaturire un senso di gratitudine verso dio, in quanto ci ha offerto il prezioso dono del “libero arbitrio”, in virtù del quale io esercito la prerogativa/facoltà di professare il mio ateismo convinto. Perciò, grazie a dio!
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