Soldato di pace
Già in quel lontano 1988, quando Benazir Bhutto salì al potere in Pakistan, il mondo intero non credette al messaggio che perveniva da un’umanità sempre più derelitta.
Il mondo non credette all’occasione storica di cambiamento, di emancipazione di un popolo attraverso una nuova generazione di donne, con idee e leggi morali non più mutilate da pressioni fondamentaliste non sempre riconducibili alle solite interpretazioni coraniche. Il mondo non credette a un messaggio chiaro e diretto, non tramutò quel dovere di giustizia in eredità di vita, non credette neppure al successivo richiamo delle coscienze nel 1993, non credette nella storia personale di una famiglia che gridava giustizia, per la troppa ingiustizia ricevuta e vergata nel proprio DNA.
Quel mondo “intero” ora non potrà sottrarsi dal farci i conti, non potrà ritenersi escluso da una qualche responsabilità, per una morte, quest’ultima, almeno, svenduta al miglior offerente.
Non un suicidio annunciato come qualcuno vorrebbe dare da intendere nell’intento di licenziare sbrigativamente l’inciampo, ma un omicidio perpetrato da esecutori ben conosciuti, ma con la complicità della disattenzione politica di Stati e Governi.
Certamente questi uomini del potere non hanno fornito le pistole, gli esplosivi, il materiale umano implodente, ma hanno consentito attraverso la falsa informazione, la comunicazione contaminata e contaminante, la distillazione ubriacante del ritorno in patria di una nascente democrazia.
Questo Occidente autonominatosi gendarme del mondo, soldato di pace e giustizia, custode delle ricchezze dell’universo, si è lasciato sfuggire l’occasione di difendere il valore per cui è nato, la libertà e le scelte di una nazione oppressa.
Questa perdita apparirà alla fine un incidente di percorso, un’assenza di rimbalzo, affinché il Pakistan possa partorire un’era di riforme e di equità sociale.
Senza volere costruire castelli dietrologici, fantapolitici, già fin troppe le agenzie specializzate in questo campo, per rendere comprensibile il senso di questa macelleria d’accatto, basta pensare ai tanti investimenti, alla pubblicità, alle immagini e al consueto corollario di discorsi cattedratici, per favorire riscatto e dignità alle donne musulmane, a tutte le donne della terra, dal giogo di una religione che, mal interpretata, diffonde sottomissione e crudeltà.
Forse per quel soldato di pace ora è giunto il tempo di non volgere le spalle alla possibilità di pensare in maniera nuova all’uomo, in maniera nuova alla convivenza dell’umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo, come nelle parole di San Paolo: per rivestire l’uomo nuovo, appunto, occorre ripartire dalla Giustizia e Santità della verità.
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