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Soggiorni marinesi di Giuseppe Ungaretti

Soggiorni marinesi di Giuseppe Ungaretti
Luglio 11
02:00 2008

È l’inverno del 1921 quando il “parigino” Ungaretti si trasferisce a Roma. Ma sono anni difficili da affrontare: Ungaretti e la moglie Jeanne versano in precarie condizioni economiche. Il poeta sopravvive grazie a un modesto impiego presso il Ministero degli Esteri, alle dipendenze del ministro Sforza. Provvidenziale la sua perfetta conoscenza della lingua francese: gli viene affidato il compito di redigere quotidianamente il bollettino informativo sul Paese transalpino. Jeanne, dal canto suo, tiene lezioni alla Berlitz. Tuttavia, malgrado gli sforzi, sono costretti a vivere in anguste camere d’affitto, dove c’è da combattere contro pulci e pidocchi, e a cambiarle spesso (otto in sei anni di residenza romana), probabilmente per la difficoltà di corrispondere il mensile ai proprietari. Indirizzi romani dal ’22 al ’27: via in Selci, 84; via Alfredo Cappellini, 3; via Carlo Alberto, 8; piazza Poli, 23; via Conte Rosso, 10; via Amedeo Ottavo, 11; via Piave, 15; via Malta, 16. Nella casa di via Malta nasce, il 17 febbraio 1925, la figlia Anna Maria (Ninon). Aumentano, così, le già consistenti preoccupazioni economiche. S’impone un trasloco nei dintorni della città, dove gli affitti sembrano più abbordabili. Per esempio a Marino, nei Castelli Romani.
Ungaretti va ad abitarci fin dall’estate del 1927, il 21 luglio. La prima casa marinese è un piccolo appartamento di un antico palazzo del ‘700 sito in corso Vittoria Colonna, al civico 68, di fronte alla chiesa della SS. Trinità. Il poeta vi rimane per quattro anni. La bionda bambina cresce, e con lei le esigenze di spazio vitale. Che aumentano ancora, poi, quando nasce il secondogenito Antonietto (9 febbraio 1930). C’è bisogno di una casa più grande: il poeta la trova in viale Mazzini n. 7, nella zona dei “villini”, ai margini del centro storico. È il “Ghibellino”, secondo edificio «di una schiera di quattro palazzine ispirate a vari stili, costruite dall’ingegner Grandi agli inizi del Novecento. Il villino si affaccia su un ampio viale alberato di platani, sotto uno dei quali il poeta ricorda di essersi seduto a leggere per lunghe ore» (1). Il trasloco avviene nel settembre 1931. La nuova casa ha il vantaggio di trovarsi più vicina alla stazione ferroviaria, sulla linea Albano-Roma, dove Ungaretti transita anche più volte al giorno, andando e tornando col “trenino”. Ma è più fredda della precedente e, addirittura, lascia filtrare l’acqua dal tetto quando piove. Ungaretti, che è privo di abilità manuali, si arrangia come può (ad esempio con una bacinella sul pavimento), oppure affida qualche lavoretto di riparazione e manutenzione al “buon cuore” del signor Giuliano De Marchis, un fabbro di Marino che ha la sua bottega da quelle parti. Ninon frequenta le scuole elementari presso l’Istituto delle Maestre Pie Venerini, in via Garibaldi. Il giardino di casa, per i due bambini, è un luogo magico di giuochi e ore spensierate: Antonietto si scatena allegramente sul monopattino che gli ha costruito il fabbro. È un periodo umanamente felice, malgrado le difficoltà. «Non mancano le gite, e i luoghi sono ameni. Spesso vanno a far loro visita amici francesi: c’è una gita a Villa Adriana, nei pressi di Tivoli, con Paulhan e Hellens; un viaggio vagabondo per il Lazio, fino a Subiaco; e, ancora, puntate a Napoli e a Firenze» (2). Il villino marinese di Ungaretti è «meta di numerosi e frequenti visitatori, amici, ammiratori, giovani soprattutto che sentivano il bisogno di confrontarsi con lui, di essere sostenuti, incoraggiati e anche stimolati» (3). Giovanni Battista Angioletti (4) ricorda da testimone diretto una di quelle visite in comitiva, una domenica del ‘32, che gli dà modo di annotare le impressioni positive del poeta “padre felice”, di una casa tutto sommato accogliente, di una stanza ingombra di libri, giornali, lettere. Il vino di Marino è buono e mette allegria: Ungaretti ne è discreto ma convinto degustatore. Rinfranca il cuore anche il panorama che si gode dai Colli Albani, verso Roma, e la visione delle alture opposte, con il verde di Monte Cavo e i tetti variopinti di Rocca di Papa. «Ci scappa perfino la passeggiata, lungo percorsi che il poeta, buon camminatore, doveva aver sperimentato tante volte: a piedi da Marino a Castel Gandolfo! E il poeta esclama con voce quasi commossa: ‘In questi boschi abitano le ninfe’. Un’aura di mistero che contagia naturalmente gli ospiti, sorpresi dalle acque del lago Albano, nelle quali si specchia mezzo cielo. E poi boschi a distesa, che sembrano ancora in grado di occultare fauni» (5).
Ma Ungaretti, al di là delle serene parentesi domenicali, nutre vivissima e assillante preoccupazione per le condizioni economiche della sua famiglia. Lo angoscia il pensiero di non poter provvedere degnamente al futuro dei figli. Lavora molto – anche 15 ore al giorno, e a scartoffie che lui stesso definisce “fastidiosissime” (traduzioni, compilazioni, conferenze) – per ritrovarsi a vivere in grandi ristrettezze. Molte lettere di quegli anni trasudano sofferenza e vibrano di rabbiose lamentazioni contro l’arrivismo di certi intellettuali, che invadono il campo impropriamente, e contro la “congiura del silenzio” che gli ordiscono attorno gli invidiosi, quelli che ne temono il valore. Si legga, per tutte, questo brano della lettera spedita da Marino a De Robertis il 14 maggio 1932: «Sono anni che aspetto, in questa mia Patria, un segno di giustizia. Non per me, non per vanità, ma perché i miei bimbi possano avere una vita meno dura. Non puoi immaginare in quali strettezze, da anni, viviamo, e senza che una mano amica mai mi si tenda a rendere ai miei la vita un po’ più facile».
Il soggiorno marinese, peraltro, è “soltanto” il corollario domestico – e uno tra i più stimolanti scenari creativi – di un epicentro umano e professionale che Ungaretti colloca necessariamente a Roma, dove si reca ogni giorno a lavorare, a conquistare spazi e ottenere consensi (a tentare, insomma, la difficile scalata verso l’empireo delle Istituzioni culturali), e dove infine torna, dopo otto anni a Marino, il 27 settembre 1934.
Il commiato dalla città castellana ha il sapore inequivocabile di un addio, benché non definitivo. Ci sarà, infatti, un’ultima occasione, anche se debbono passare sette lustri: è l’agosto 1969 quando, con Elio Fiore, grazie a un’idea di quest’ultimo, Ungaretti si rende protagonista di un interessante “revival”. La rimpatriata ai Castelli Romani, compreso il viaggio in automobile da Roma, viene filmata e poi montata in un documentario, dal titolo Il tempo della poesia, a cura del regista Francesco Degli Espinosa, musica di Egisto Macchi, per la “Nexus Film” di Roma. Il viaggio e la breve permanenza a Marino sono ovviamente un pretesto per far parlare Ungaretti, sollecitato dalle domande di Fiore. Il poeta ritrova qualcuno dei vecchi amici locali e rivede la casa di un tempo, con il “fantasma giallo” della mimosa. Tutto è ancora là: tutto è diverso. Frammenti di un prisma che si ricompone. Echi memoriali che si aprono in corolle di ricordi – dolcissimi e struggenti come quello di Antonietto, che a Marino era nato, e animava di schiamazzi quel giardino -, e offrono spunto per ulteriori considerazioni sulla vita, sulla poesia, sul mondo.
Il documentario verrà poi proiettato nella sala consiliare del Comune di Marino, il 10 febbraio 1990, nel corso di una “giornata di ricordi e onoranze” promossa dallo storico Ugo Onorati, con interventi di Elio Filippo Accrocca, Emerico Giachery e Mario Petrucciani, e allietata dalla presenza della figlia del poeta, Ninon Lafragòla Ungaretti. In quell’occasione è stata solennemente scoperta una lapide, collocata – accanto a quella per Giacomo Carissimi – sulla parete di Palazzo Colonna che si affaccia su Piazza della Repubblica. Il testo della lapide è il seguente:
in questa città visse / Giuseppe Ungaretti / dal 1927 al 1934 / qui riprese luce la sua poesia / dando sentimento al tempo e valore alla vita / a Marino per la prima volta gli sorrise / il “felice volto” del figlio Antonietto / la città, onorata di tanta presenza, pose / a ricordo del soggiorno del poeta / 10 febbraio 1990.
——————————
(1) U. Onorati, Giuseppe Ungaretti a Roma e nei Castelli Romani, in “Strenna dei Romanisti”, 63, 2002, p. 483.
(2) W. Mauro, Vita di Giuseppe Ungaretti, Roma, Anemone Purpurea, 2006, p. 79.
(3) S. Guarnieri, Testimonianza su Ungaretti con tentativo di interpretazione, in AA. VV., Atti del Convegno Internazionale su Giuseppe Ungaretti – Urbino, 3-6 ottobre 1979, Urbino, 4venti, p. 695.
(4) G.B. Angioletti, Ricordi di vent’anni fa: Il poeta di Marino, in “La Fiera Letteraria”, 1 novembre 1953 e in “Castelli Romani”, 9, 1964, 12, pp. 104-105;
(5) U. Onorati, op. cit., p. 490.

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1 Commento

  1. Alice Ferrari
    Alice Ferrari Novembre 17, 17:22

    Articolo molto interessante
    Non conoscevo questa fase di Ungaretti. Spesso i “grandi” devono attendere troppo per il dovuto riconoscimento mentre i mediocri,per ragioni fin troppo conosciute, emergono. Grazie.

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