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Soffrire con Cristo nell’Albania comunista

Soffrire con Cristo nell’Albania comunista
Dicembre 30
11:26 2017

Padre Anton Luli, Gesuita
Soffrire con Cristo nell’Albania comunista
Un libro-documento di Giovanni Arledler S.I.

L’orrore della Storia mi perseguita dalle scuole elementari, quando ci mostravano in luce di eroismo tutti gli scannamenti fra gli uomini, causati da sete di conquista o da legittima difesa. Conquista non solo territoriale, ma politica, religiosa, culturale, economica: insomma, i vinti nell’antichità diventavano schiavi dei vincitori; ora che lo schiavismo sembra tramontato, si diviene semplicemente ‘conquistati’, per cui, addolcendo la pillola con una frase diversa, la realtà non muta. Se un regime ateo sottomette una nazione, perseguiterà i preti e i credenti di qualsivoglia fede. Se il delirio di grandezza della razza pura mira a sterminare gli ebrei, i risultati sono i fumi dei camini che spedivano in cielo le anime dei defunti nei lager (ad Auschwitz, io che non sono facile alle lacrime, vedendo scarpe di bambini sono uscito dalla fila che guardava montagne di capelli ed altre reliquie di gente come noi, però diversa nella fede religiosa).

Nel mio dubitare continuo, sistematico, e nel non voler mai credere che il bene stia da una parte e il male dall’altra, bensì fuso insieme e presente in ogni ideologia e fede: temo che gli avvenimenti recenti si stiano scrivendo in modo parziale, portando le giovani leve digiune della Storia (che si ripete sotto mentite spoglie tale e quale da millenni) a pensare che, almeno nel Novecento, secolo devastatore e infame, quanto grande nella scienza e nelle arti, i delitti contro l’umanità si siano perpetrati solo da una parte. Infatti, ancor giovane, ma già edotto del rapporto Kruscev sui crimini di Stalin, rimasi allibito quando, avendo chiesto a un celebre letterato un parere sui nostri giorni, sentii rispondermi che, certo, non fa stare con la coscienza tranquilli il riflettere di essere contemporanei di Hitler e Pinochet. Gli obiettai che Mao era il primo nella lista degli assassini e Stalin il secondo, terzo Hitler e poi una serie infinita di macellai, da Pol Pot che aveva dimezzato la sua popolazione a Pinochet che si divertiva da sadico a torturare le vittime, a Franco zitto zitto come un gatto “mocione” che dorme e arraffa i rondoni, e Tito (ma delle fosse di Katyn non si parla mai), i genocidi in Rwanda, in Jugoslavia, gli attentati di origine religiosa etc. Non si finirebbe più. Non facciamo distinguo ipocriti: i macellai sono tali a destra e a sinistra.

In questo stato d’animo mi è venuto fra le mani un breve, documentato, intenso libro di Giovanni Arledler (S.I.) sulle persecuzioni comuniste nell’Albania di Hoxha a danno di ogni credente, poiché bisognava instaurare il perfetto ateismo.

È la succinta biografia di un martire della fede cristiana, il gesuita Anton Luli (editrice Velar, nella collana blu “Messaggeri d’amore”, giunta a oltre 500 titoli interessantissimi, veste elegante, molte fotografie rare, documenti di prima mano). Dirò solo una cosa sullo scrittore-teologo Giovanni Arledler (collaboratore di “Civiltà Cattolica”): la sua narrazione è asciutta, incisiva, tutta condensata nei fatti e nelle parole dei martiri. Eppure riesce a darci, in tale lapidarietà, l’atmosfera di quei terribili anni albanesi, meno famosi del Nazismo e della rivoluzione culturale maoista, ma esemplari d’una scelleratezza che fa dell’uomo un criminale in potenza o in atto – secondo le circostanze –: ma, proprio in tale situazione, prende luce e forza il perseguitato Anton Luli che, dopo 42 anni di detenzione e torture, incontrando, in tempi meno intolleranti (era al governo Ramiz Alia dal 1985), il suo aguzzino, gli corre incontro e lo abbraccia, segno di un perdono che è raro nell’orrore della Storia e nella natura vendicativa degli uomini.

Ma procediamo per gradi, seguendo per sommi capi la verità che solo dopo decenni i vinti possono scrivere.

Anton Luli nasce in un piccolo paese a nord di Scutari nel 1910. A 14 anni entra nel seminario della città e a 19 nel noviziato dei Gesuiti della provincia Veneto-Milanese a Gorizia (parlerà correttamente l’italiano). Studia filosofia e teologia e nel 1942 è ordinato sacerdote. L’avvento del comunismo è del 1944. Due anni dopo, alcuni padri Gesuiti vengono fucilati a Scutari. Nel 1947 padre Luli è arrestato. Gira diverse carceri. Nel 1949 è posto ai lavori forzati per la bonifica della palude di Kafaja. La sua odissea durerà più di quattro decenni, perché solo nel 1989, uscito dal carcere, è ospitato dal fratello a Bushat ma non può ancora celebrare Messa. Muore nel 1998 nell’infermeria del Gesù a Roma.

Fa pensare come un uomo così torturato sia vissuto quasi novant’anni. All’età di sette fu mandato dal padre a pascolare il gregge, tutto il giorno, con un tozzo di pane e poca acqua. Però, se non ha avuto in tempo regolare un’istruzione scolastica, ha avuto l’insegnamento religioso in famiglia: tutte le sere, nella povertà serena della casa, si recitava il Rosario. Ma le cose accadono stranamente: un venditore ambulante, in una delle sue periodiche visite nei paesi, si presentò con matite, quaderni, penne, inchiostro e calamaio. Anton ebbe quei tesori in cambio di uova “rubate” alla sua famiglia. E la madre, attaccatissima al figliolo, si oppose all’idea che questi entrasse in Seminario. Però le vie del Signore non ci sono note… Fu durante il noviziato che Anton Luli imparò la nostra lingua. Infatti, dal 1936 al ’37, proprio nel Seminario di Scutari insegnò italiano, albanese, storia e geografia, ma il futuro gli riserbava tristi sorprese. Dopo che i tedeschi erano stati cacciati, i comunisti, il 29 novembre 1944 danno l’avvio a un ordinamento che comportava l’abolizione della proprietà privata, così da colpire anche i beni della Chiesa. I Gesuiti italiani furono espulsi dall’Albania e il Collegio fu chiuso definitivamente nel 1946. Con accuse non comprovate, si disse che Francescani e Gesuiti avevano favorito fascisti e nazisti. Le conseguenze furono terribili. Leggiamo il racconto dello stesso padre Luli: «Quando sono stato arrestato per la prima volta, mi hanno fatto stare nove mesi chiuso in una stretta stanza da bagno piena di escrementi induriti. La notte di Natale mi hanno fatto spogliare in questo luogo e legato ad una trave, in modo che potessi toccare il pavimento solo con le dita dei piedi. Era freddo; sentivo il ghiaccio salire tutto il corpo: era come una morte lenta. Quando il ghiaccio stava raggiungendo il petto ho gridato disperatamente. Le mie guardie sono corse, mi hanno colpito e poi mi hanno buttato a terra».

Molti sacerdoti, preti e frati, sono stati fucilati: le condanne venivano eseguite per futili motivi, per spiate anonime, senza un regolare processo.

Di percosse e stenti, cibo scarso e scadente, freddo, lavori forzati e carcere duro, è stata quasi metà della lunga vita di padre Anton Luli (e non soltanto della sua, ma di tanti altri religiosi e no), specie negli anni 1966-’67, quando il Congresso del Partito Comunista Albanese proclamerà l’Albania il primo stato veramente ateo del mondo. Quindi non solo non si celebrava Messa, ma non si poteva neanche pregare insieme, e neppure da soli. Proibito il segno della croce. Enver Hoxha, dittatore spietato, morì nel 1985. Con Ramiz Alia, come già detto, la situazione politica mutò: una certa distensione, anche se prudentemente condotta, venne attuata sia in politica interna che estera.

Potremmo chiudere qui, dicendo che la salute minata del martire provocò in lui momentanei pericoli, ma la fortissima fibra resistette fino agli 88 anni.

«La mia vita è trascorsa così – dice padre Luli – ma non ho avuto nel cuore sentimenti di odio. Incontrato un giorno, dopo l’amnistia, uno dei miei torturatori, sentii l’impulso di salutarlo e lo baciai… Nel misterioso disegno di Dio, non conta tanto quello che noi facciamo, ma con che spirito lo facciamo.»

Mi viene in mente la vita di santa Rita da Cascia, la santa del perdono. Io credo che nell’uomo sia connaturale la vendetta, e tutta la Storia si muove su questo diabolico sentimento. Il perdono – quello vero, non quello peloso ostentato davanti ai mezzi di comunicazione di massa – è una virtù eroica; è, secondo me che sono un uomo qualunque, un dono sovrumano.

Non parlerò di quanto la Chiesa ha fatto in memoria di alcuni martiri albanesi, cosa scritta su questo libro. Ci sono però esistenze – e quella di padre Anton Luli è una di esse – sconosciute (il mondo celebra e ricorda più i macellai che i Santi) che si oppongono alla disperazione dell’orrore della Storia: sono esse che danno il coraggio di andare avanti illuminando il cammino con la lanterna che portano sulla spalla, la quale fa luce a chi viene dopo, e non a loro che camminano nel buio della ferocia umana!

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