Siria: l’atroce massacro
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il Segretario Generale dell’ONU Ban ki Moon si sono impegnati a garantire la prosecuzione del monitoraggio della situazione dei diritti umani in Siria, dopo che lo scorso 19 agosto è scaduto il mandato della missione di supervisione UNSMIS. Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza del 16 agosto, al centro della discussione è stato posto il problema dell’intensificazione del conflitto e dell’escalation delle violenze. Secondo Philippe Bolopion, direttore di Human Right Watch: «il monitoraggio internazionale dei diritti umani in Siria oggi è ancora più urgente perché occorre gettare le basi per individuare rimedi e responsabilità nelle missioni future.»
E a tal proposito Ban Ki Moon ha affermato che il gruppo degli osservatori dovrà necessariamente includere anche esperti di diritto internazionale umanitario che siano in grado di riferire, anche e soprattutto, sulle reali condizioni del rispetto dei diritti dei civili, del diritto d’assemblea pacifica, dei detenuti, e che siano capaci di compiere gli sforzi diplomatici necessari per contribuire al rilascio di persone che sono state arrestate arbitrariamente.» Human Right Watch ha recentemente documentato episodi di tortura – di detenuti sottoposti all’elettro-shock -, di abusi sessuali e di percosse, mutilazioni e omicidi che avvengono sia nei centri di detenzione sia per mano dei gruppi armati d’opposizione. Anche i ribelli infatti avrebbero delle grossissime colpe nel conflitto, anche se – si precisa nel rapporto dell’ONU – : «le responsabilità dei ribelli siriani non raggiungono la gravità, la frequenza e l’intensità di quelle dell’esercito e delle forze di sicurezza.» Intanto, anche i paesi islamici isolano Damasco. L’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) ha deciso di sospendere la Siria tra i suoi membri. La decisione è stata presa quasi all’unanimità: solo l’Iran, paese amico del regime siriano, ha votato contro. L’organizzazione dei Paesi musulmani si è riunita a La Mecca, in Arabia Saudita. I partecipanti hanno condannato la repressione violenta della rivolta siriana messa in atto dal presidente Bashar al-Assad. Human Right Watch ha inoltre scoperto che il ricorso all’artiglieria pesante da parte del governo siriano colpisce non solo obiettivi militari ma anche aree molto popolose, causando la morte di civili inermi. Da quando la rivolta lo scorso marzo è iniziata, si stima che oltre 20.000 persone abbiano perso la vita per colpa delle milizie del governo. La città di Aleppo vive sotto un bombardamento costante. Il massacro non ha risparmiato nemmeno donne e bambini. Secondo il rapporto di Human Right Watch, 3.500 manifestanti, compresi moltissimi minorenni, sono morti a partire dal 15 novembre scorso. Molti di loro sono stati uccisi dopo essere stati sottoposti a feroci torture. Altissimo è il numero di dissidenti fatti sparire in carcere. Le loro famiglie, sotto la minaccia del regime, sono state costrette a firmare dichiarazioni ufficiali che accusano i ribelli di aver ucciso le persone che sono state tratte in arresto dai miliziani. Ma la morte per mano del regime non ha preso solo i dissidenti anti-governativi: centinaia di persone sono state colpite dall’artiglieria pesante mentre partecipavano in corteo ai funerali. L’esercito siriano blocca anche l’ingresso delle ambulanze che corrono in soccorso dei feriti. Nel mese di maggio le forze di sicurezza hanno attaccato la città costiera di Banyas, utilizzando lo stadio della città come centro di detenzione, e la città di Tal Kalakh, vicino al confine libanese, costringendo più di 3.000 siriani a fuggire oltre il confine in Libano. Nel mese di giugno le forze di sicurezza hanno inviato carri armati nella città settentrionale di al-Jisr Shughur a seguito di scontri armati tra forze di sicurezza locali distaccate e residenti. Nel mese di luglio le forze di sicurezza hanno fatto irruzione a Hama, che aveva visto le più grandi proteste anti-governative in Siria, uccidendo almeno 200 residenti in quattro giorni, in base alle liste dei nomi delle vittime fornite dagli attivisti locali. Carri armati e veicoli blindati ad agosto sono entrati nella città costiera di Latakia. Le forze di sicurezza hanno preso d’assalto anche i quartieri di Bab Sba, Bab Amro e Bayyada di Homs in diverse occasioni tra aprile ed oggi. La repressione violenta messa in atto dal presidente Bashar al-Assad non ha risparmiato nemmeno i media: decine gli arresti di giornalisti negli ultimi tre mesi, grazie soprattutto ad una nuova legge che rende la censura ancor più implacabile. Intanto l’ONU ha fornito una serie di raccomandazioni agli Stati Uniti che si sono impegnati nel contrastare il flusso clandestino di armi che dalla Russia arriva in Siria, nelle mani dell’esercito governativo. Ma intanto l’isolamento internazionale del Paese è una misura inefficace che non ferma il massacro.
Al momento di andare in stampa non ci sono purtroppo novità “positive” provenienti dalla Siria. Anzi. Gli osservatori ONU hanno lasciato il paese perché nessuno garantisce la loro incolumità; un rapporto di Medici Senza Frontiere, che opera da due mesi senza il consenso delle autorità ufficiali siriane, conferma che l’utilizzo dell’artiglieria pesante e la violenza della guerra non risparmia i civili (la maggior parte dei pazienti curati sono uomini, il 20% circa bambini o ragazzi con meno di 20 anni e il 10% donne); il Presidente Obama minaccia di invadere la Siria se si useranno armi chimiche o atomiche; i morti non si contano quasi più. E il mondo, come dice un detto turco, “guarda” questo conflitto “come la mucca guarda il treno”. (ndr)
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