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Simon Mago tra Roma e Ariccia

Luglio 11
02:00 2007

Un incrocio fra Otelma e David Copperfield: Simone da Gitton, il mago più famoso della Samaria. Uno dei tanti che sbalordivano il popolo con astruse e illusionistiche fumisterie, mietendo reverenziali inchini ed ammirati silenzi anche in cervelli meno sprovveduti di buon senso. Segno evidente che qualcosa doveva esserci: che qualche potere esoterico (o, almeno, talento spettacolare) doveva maneggiarlo per davvero.
Un po’ stregone, un po’ prestigiatore, Simone cresce in un ambiente religioso di tipo sincretistico, a matrice greca, ellenistica e giudaica. Poi si converte al Cristianesimo e si fa battezzare dal diacono Filippo. Incontra Pietro, mandato in Samaria insieme con Giovanni. È un incontro che entrambi non dimenticheranno, per opposte ragioni. Simone ha avuto notizia dei miracoli compiuti da Gesù e dai suoi apostoli, e guarda a questi ultimi come “colleghi”. Vuole perfezionarsi. Crede di poter comprare la capacità di operare miracoli come se fossero azioni di magia, e non manifestazioni divine. Pietro lo respinge duramente: “Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare col denaro il dono di Dio”. A tali parole segue la “scomunica”, e dall’episodio prende vita il neologismo simonia, ad indicare l’azione o il tentativo di comprare con i soldi le immateriali quanto inestimabili virtù dello spirito. Scacciato dall’Apostolo, Simone – gonfio di livore – nutre fin da subito propositi di vendetta. Coi denari rifiutati da Pietro compra, a Tiro, in Fenicia, una schiava di nome Elena, riscattandola dal mestiere di prostituta. In sua compagnia comincia a girare il Medio Oriente, alla ricerca di luoghi non ancora toccati dal verbo del Messia, dove accrescere le schiere dei seguaci. Simone si spaccia per grande personaggio. Intorno a lui e alle sue strambe gesta si forma una setta che lo adora come manifestazione terrena della “Grande Potenza”, come “Potenza di Dio” (η δυναμις του Θεου).
La setta dei simoniani pratica la magia e svariate forme di esorcismi. Simone afferma di poter rivelare agli uomini la via della salvezza e dell’immortalità mediante la conoscenza di se stesso: di se stesso, si badi bene, non di se stessi (come aveva predicato un Socrate, fra gli altri). La megalomania del samaritano non conosce limiti: “glorificato da molti come se fosse Dio, Simone stesso insegnò che egli si era manifestato tra i giudei come Figlio, che era disceso in Samaria come Padre e che era venuto tra le altre nazioni come Spirito Santo”1. Così, non bastandogli più la Provincia, Simone a un certo punto tenta di approdare e di attecchire a Roma. E ci riesce. Giustino, il filosofo cristiano medio-platonico, nella sua I Apologia (155 d.C.) parla del conterraneo Simon Mago, presunto fondatore dell’eresia gnostica; di come venne a Roma al tempo dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.); di come compì prodigi di magia con l’aiuto delle potenze demoniache alle quali era sottomesso; di come fu venerato come un dio, e onorato financo di una statua. La venuta a Roma al tempo di Claudio è in realtà falsa, poiché poggia sull’erronea interpretazione dell’epigrafe “Semoni Sanco Deo Fidio Sacrum”, incisa su una statua collocata nell’isola tiberina, dedicata non già a Simone ma al dio sabino Semo Sanco, preposto ai trattati e ai patti in quanto “fidius”, fedele. Giustino, con ogni probabilità, riporta la versione speciosamente divulgata dai simoniani di Roma, in prevalenza discepoli samaritani giunti al seguito del Mago e attivi nella caleidoscopica metropoli imperiale. Simone fa proseliti anche nella colonia giudaica dell’Urbe. Può inoltre confidare nell’appoggio incondizionato del popolo basso, sempre “avido di spettacoli sensazionali a base di commedianti e istrioni, di acrobati, saltimbanchi e illusionisti, di stregoni e di esorcisti e astrologhi provenienti dalle parti più remote del mondo”2. Simone mira in realtà a ottenere successo, notorietà e prestigio presso la corte di Nerone. I due hanno ben di che intendersi. Tanto che il Mago diviene in breve tempo il pupillo del folle imperatore, che sembra gradire molto le sue arti sceniche, i suoi audaci e stravaganti ritrovati. Una volta, alla presenza di Nerone, riesce (Fregoli ante litteram) a trasformarsi e camuffarsi in mille modi, apparendo sempre diverso. I “numeri” del Mago sono così sorprendenti che Nerone finisce per stimarlo di “progenie divina”. Ma Simone, benché soddisfatto, ha ancora una spina nel cuore che lo tormenta: non riesce a dimenticare lo smacco subito da Pietro qualche anno prima. Gliel’ha giurata, del resto. Sicché, quando l’Apostolo giunge a Roma (62 d.C.), Simone ha una sola idea in testa: vendicarsi. Convinto di essere il vero Messia e sicuro delle sue arti magiche, egli non si perita di sfidare l’impossibile. Decide di emulare l’ascensione di Cristo, spiccando il volo da altezza considerevole: o dalla vetta del Campidoglio o, come più plausibile, da una torre appositamente costruita nel Foro, alla presenza dell’Imperatore e, quel che più conta, di Pietro in persona. Dovranno arrendersi all’incredibile evidenza, lui e tutti gli altri: ammettere che anche Simon Mago, come gli apostoli, è in possesso di virtù straordinarie, sovrannaturali.
La folla radunata trattiene il fiato. Pietro se ne sta in disparte, inginocchiato sul lastrico (la leggenda vuole che siano sue le impronte su una lastra di basalto tuttora conservata, dietro una grata in ferro, nella chiesa di Santa Francesca Romana), raccolto in profonda meditazione. Ed ecco, Simone si slancia e incomincia a volteggiare nell’aria: segrete forze in effetti lo sostengono. La folla è soggiogata dallo stupore. Ma Pietro prega con fervore perché l’insano e diabolico “numero” fallisca, e si concluda: senza però la morte del Mago, che dovrà sopravvivere, per poi avvedersi del peccato e provare umiliazione. “Venit Simon ex alto in terram et crepuit medius, nec tamen continuo exanimatus est, ut poenam suam et ruinam cognosceret”, attesta la Passio apostolorum Petri et Pauli. Un’altra versione della leggenda riferisce che Simone (antesignano stavolta di Leonardo) avrebbe utilizzato una “macchina alare”: marchingegno che, se non poté cambiare l’esito dell’esperimento, gli permise almeno di attutire la caduta, coi suoi effetti teoricamente disastrosi.
Tale e tanta è la forza della preghiera di Pietro che le occulte forze diaboliche, inizialmente favorevoli, finiscono per abbandonare il Mago, che precipita rovinosamente a terra, schiantandosi al suolo e fratturandosi le gambe “tra l’ilarità del popolo che già aveva voltato le spalle a quello che fino a pochi istanti prima era stato il suo idolo”3. Un punto fermo della leggenda sembra, comunque, l’effetto non letale della caduta, almeno nell’immediato. Simone muore o perché lapidato dai suoi stessi seguaci, infuriati per il fallimento del volo, o suicida per l’umiliazione e la rabbia del secondo e più clamoroso scorno subito dall’Apostolo. La maggior parte dei testi afferma che, con le gambe rotte e il morale sotto i piedi, viene trasportato da qualche fedelissimo fuori Roma, ormai ostile: destinazione Brindisi. Meta che non fa in tempo a raggiungere poiché, a seguito delle ferite riportate, è costretto a fermarsi ad Ariccia, la prima località di una certa importanza lungo la via Appia, dove spira ed è sepolto come il più comune dei mortali. Sepoltura che forse, addirittura, si dà lui stesso. Secondo l’ennesima variante, il samaritano – caduto in disgrazia a Roma e, presumibilmente, guarito ad Ariccia dalle ferite del volo – cerca di riguadagnare “punti” sottoponendosi all’esperimento della temporanea inumazione, da cui dovrebbe risorgere il terzo giorno, come Gesù Cristo. Ma da quel sudario di terra, purtoppo per lui, non esce più vivo. Sta di fatto che Simon Mago conclude ad Ariccia il suo cammino terreno: e lì rimane il suo sepolcro, come ricorda la memoria storica del luogo e attesta un’epigrafe del XVI secolo conservata nel Palazzo Chigi. Un frammento del sepolcro era un tempo murato nella fontana delle “tre cannelle”, mentre “basto del diavolo” è detto un antico rudere sito, secondo tradizione, nel punto preciso della sepoltura. Luogo che gli antichi cristiani aricini, al tempo delle persecuzioni, guardavano con un misto di paura e di speranza: intimoriti dalla contaminazione diabolica del Mago ma, al tempo stesso, confortati dal trionfo riportato dall’Apostolo Pietro, ad eterna memoria, sulle non onnipotenti forze del Maligno.
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1 L. Cirillo, Scuole di pensiero orientale a Roma, in AA. VV., «Roma, la Campania e l’Oriente Cristiano Antico», atti del Convegno di Studi (Napoli, 9-11 ottobre 2000), Università «L’Orientale», 2004, p. 79.
2 R. Lefevre, Il sepolcro di Simon Mago all’Ariccia, in «L’Urbe», anno XXIII – nuova serie, n. 5, settembre-ottobre 1960, p 15.
3 M. D’Eramo, Un mago di nome Simone, in «Rugantino», 30 dicembre 1983.

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