Silvia e Abrehet (perché occuparsi di Diritti Umani?)
Roma, 30 dicembre 2009. Silvia e Abrehet aspettano un bambino. Silvia è bella, colta, ricca e famosa. La sua famiglia è potente, il suo futuro radioso. Ha trent’anni ed è fresca come una rosa. Anche Abrehet ha trent’anni e, come Silvia, è al quarto mese di gravidanza. I suoi occhi sono scuri e profondi come il cielo sul Corno d’Africa, la terra da cui è fuggita per non morire, ma la sua pelle d’ebano è appassita e segnata da tanti anni di stenti e di dolore. Silvia è benvoluta dagli italiani, che insieme a lei trepidano, aspettando che il suo bambino fortunato veda la luce. Sfogliano i rotocalchi, cercando foto di Silvia con il pancione, per amarla e sorridere. Abrehet non ha un posto dove andare. Ha fame. Ha freddo. Suo marito Yosef la guarda con amore e dolore. Vorrebbe nutrirla con il suo respiro; vorrebbe scaldarla con il suo sguardo. Ma Abrehet e Yosef sono clandestini. Una legge spietata, partorita dal puro male, li condanna a nascondersi. Gli sgherri li braccano ovunque. Tenaci, rabbiosi e fanatici come cacciatori, gli occhi iniettati d’odio, perlustrano i luoghi derelitti dove gli africani, insieme ad altri miserabili, si sottraggono alla vista della “brava gente”, per allungare le loro vite disperate, per non subire la brutalità dell’arresto, l’orrore della prigionia nei Cie e infine la deportazione verso paesi in cui solo il dolore e il nulla attendono i profughi. Silvia è una stella ariana, Abrehet è una nuova ebrea. La prima è Eva, la seconda Anna. Ha fiducia nell’intima bontà dell’uomo, Abrehet, quando tende la sua manina senza più carne e sul suo teschio vivo si dischiude un atroce sorriso, da cui esala una sola parola, un lamento: “Aiutaci”. A volte è troppo duro, troppo doloroso impegnarsi per i Diritti Umani, in questo tempo senz’anima, in questo paese dominato da mostri. Perché lo facciamo? Perché, nonostante tutto, continuiamo, se non a credere, almeno a sperare? Lo facciamo perché amiamo Abrehet, perché Abrehet è bellissima – più bella di Silvia – e il suo bambino è un fiore.
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