Silenzio, prego: parlano le bombe
Ammutolire per l’orrore non è solo un modo di dire: è un fatto. E quando la parola viene a mancare cala il silenzio della sconfitta. Taci, il nemico ti ascolta. E chi è il nemico, se non la disperazione dell’impotenza che annienta ogni reazione?
Uno sforzo, prego, e tiriamo fuori quel po’ di anima che ancora ci resta in corpo. Cominciando da dove capita.
La primavera non porta più rondini ma bombe, san Giuseppe non si festeggia più con i bignè ma con missili cruise. Ergo: la primavera e la festa del papà portano male.
Il 2003 è passato da poco, dovremmo ricordarci qualcosa. George Bush – il texano dagli occhi di greggio – lanciando il suo ultimatum giurò che da solo o in compagnia avrebbe ripulito il pianeta del male che si annidava a Bagdad sotto le spoglie di Saddam. Il 19 marzo si visse col cuore in gola, sperando in un miracolo. E la mattina dopo gli angloamericani fecero tremare Bagdad, alla faccia del mondo intero che diceva no alla guerra. A Bagdad c’erano i nostri Alpini del sud – tanti di loro davanti alle telecamere dichiararono onestamente che stavano lì per uno stipendio e una divisa che conferisse loro dignità e rispetto, carenti dove regnano mafia e malavita – e c’erano mezzi e armamentari partiti dai nostri porti, ma per bocca dell’ex imprenditore, anche allora nostro Presidente del Consiglio, l’Italia si proclamò paese non belligerante e solo presente nel teatro di guerra come forza di pace.
Esattamente un secolo fa, al 50° dell’Unità, l’Italia fece guerra coloniale alla Libia. Oggi, al 150°, alle 17:45 di sabato 19 marzo, si riparte per l’ennesima guerra santa. Ci siamo scaldati, in questi ultimi tempi. Abbiamo riscoperto l’orgoglio nazionale, il senso dell’inno di Mameli, il significato del Tricolore. E qui sorge il dubbio che tanto fervore comporti dei rischi grossi, là dove la ragione non sia tanto radicata da resistere ai bollori del sangue.
“Odissea all’alba”. Guerra lampo. Armi intelligenti. E l’articolo 11 della nostra Costituzione opportunamente interpretato. E torna pesante il sospetto che gli interessi in gioco, in quella terra benedetta dal dio petrolio, prevalgano ancora una volta sul principio di difesa delle popolazioni insorte, che come da copione le beccheranno da tutte le parti.
Il povero Gheddafi, nato mostro e che mai ha nascosto questa sua orrenda deformità, non è che sia comparso improvvisamente sulla scena. Gonfio e tronfio, si è goduto pure il soggiorno qui da noi, dove si è messo comodo a ricevere baciamani e altri salamelecchi. Il povero Gheddafi che cosa doveva pensare, di fronte a tanta condiscendenza e riverenza riscosse in suolo occidentale, se non che fosse dalla parte del giusto in quanto potente fra i potenti?
E il nostro grande, grandissimo presidente Napolitano, perno indispensabile di questa nostra scricchiolante democrazia, come ha potuto accettare, e anzi avallare, questo ennesimo sgarro della storia, lanciata – sembrerebbe – a reiterare all’infinito i suoi passi falsi?
Quando ci si infila in un tunnel poi se ne deve uscire, e anche stavolta si troverà il modo di venirne fuori con la ragione in pugno. E speriamo che siano ragioni fondate non sulla crudeltà della guerra, ma sulla necessità di lavorare per una effettiva volontà di pace. Ma queste sono belle parole troppe volte gridate al vento, e non convincono più. E allora si spegna l’audio.
E torna il silenzio. Da qui non si sentono gli scoppi delle bombe.
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