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Sfogliando la storia degli ultimi sessant’anni – 3

Sfogliando la storia degli ultimi sessant’anni – 3
Gennaio 10
23:00 2011

Il Papa BuonoDal Concilio Vaticano II alla “Risoluzione 242”

Durante la guerra fredda sedeva al soglio pontificio Pio XII, incoronato papa nel ’39 alla morte di Pio XI. La Chiesa si rifaceva ai modelli della Spagna di Franco e di Salazar del Portogallo. Oscurantista e diffidente del mondo contemporaneo, su posizioni estranee e arretrate, Pio XII non scorgeva la ricerca di una giustizia sociale fra le classi e i popoli, la fine degli imperi coloniali e l’emergenza del problema del sottosviluppo, opponendo un rifiuto totale delle dottrine comuniste in quanto “atee e materialiste”.


Il decreto del luglio 1949 – che stabiliva la scomunica per chi aderisse ai partiti comunisti e socialisti – tornò utile ai governi del blocco occidentale, mettendo i militanti della sinistra che restavano cattolici in grave dubbio e conflitto. Alla morte di Pio XII viene eletto papa nell’ottobre del ’58 il cardinale Angelo Roncalli – Giovanni XXIII -, che annunciò la convocazione di un nuovo Concilio Ecumenico dopo il Vaticano 1 del 1870. Il nuovo Concilio Vaticano II, che dava la parola ai vescovi di tutto il mondo, si ebbe nel gennaio 1959. Nell’ottobre del 1962 la riunione del Concilio venne seguita dalla promulgazione dell’enciclica “Pacem in terris” inviata a tutti gli uomini di buona volontà. Oltre quattro anni di pontificato del Papa Buono, produssero un profondo rinnovamento.
Giovanni XXIII, Kennedy e Chruscev assumono nel 1963 il ruolo di difensori della pace universale.
La morte del papa nel giugno del 1963 fu una grave perdita per tutti. Il Concilio si conclude nel 1965, scomparsi termini come “scomunica” ed “eretico”, abbandono del latino con la riforma liturgica, si apre il dialogo con le altre confessioni cristiane non cattoliche.
Succede al papato Giovan Battista Montini – papa Paolo VI – che compì diversi viaggi nei paesi del Terzo Mondo. Nella Enciclica del marzo 1967 “Populorum Progressio” si diceva che il sottosviluppo è prodotto dalla tirannide della monocultura, si condannava il Capitalismo – “Nefasto sistema economico fondato sul liberismo senza freni” – e la limitazione delle nascite.
Dopo Kennedy è presidente americano Lyndon Johnson. Complicatissima la questione del Vietnam e dei Vietcong, e la guerriglia rivoluzionaria organizzata dal fronte nazionale di liberazione.
Il regime militare inviato a Saigon andava difeso a oltranza perché perdere nel Vietnam del sud avrebbe significato la caduta degli altri Stati della penisola indocinese e anche della Malaysia, l’Indonesia e le Filippine. La convinzione era che in Vietnam fosse in atto l’espansione del comunismo; ferma alla logica della passata guerra fredda, la strategia asiatica vedeva ancora un blocco comunista e non teneva conto delle gravi divergenze sorte fra URSS e Cina. Nell’agosto 1964, col pretesto di un attacco nordvietnamita contro due navi americane, le forze americane compiono incursioni aeree contro il Vietnam del nord. URSS e Cina si unirono per appoggiare il governo di Hanoi. Nella lotta contro i vietcong e il Vietnam del nord gli Stati Uniti non badarono a spese. Bombardamenti su civili e defolianti per far sparire le foreste utili ai vietcong per i loro movimenti. Gli USA stavano distruggendo il Vietnam per salvarlo dal comunismo. Incontrarono però una imprevista resistenza; nel gennaio- febbraio 1968 i vietcong ottennero successi militari di grande impatto anche psicologico.
Con la vittoria definitiva in pugno, il comando americano richiamava sempre più uomini – dal 1965 al 1972 in totale due milioni e settecentomila -, ma davanti a quello che si dimostrava una gigantesca trappola Johnson ordina la cessazione dei bombardamenti sul Vietnam del nord e accetta di partecipare alla conferenza a Parigi, nel maggio del 1968, con la presenza dei due Vietnam e del Fronte di Liberazione, dicendo che gli Stati Uniti erano pronti a una “pace onorevole” e annunciando che non si sarebbe ricandidato alle elezioni del novembre 1968, che vinse il repubblicano Richard Nixon. Ritiro progressivo delle forze e una migliore organizzazione dell’esercito sudvietnamita che doveva contenere i vietcong fino al momento della pace. Discorso televisivo di Nixon che spiega il significato di “pace onorevole” il 3 novembre 1969: “Per gli Stati Uniti la prima sconfitta nella storia della nostra nazione condurrebbe a un calo di fiducia nella Leadership americana non solo in Asia, ma in tutto il mondo”. Le trattative durarono più di quattro anni, mentre il fronte dei combattimenti si estendeva all’intera Indocina dopo il coinvolgimento del Laos e della Cambogia da dove passavano i rifornimenti militari del Vietnam del nord ai Vietcong.
L’armistizio firmato a Parigi nel gennaio del ’73 prevedeva il ritiro entro due mesi delle forze degli Stati Uniti dal sud, il cessate il fuoco tra i vietcong e le forze sudvietnamite, la riunificazione di nord e sud con elezioni libere sotto controllo internazionale.
Solo la prima clausola venne rispettata. Completo disimpegno degli Stati Uniti, ripresa degli scontri che condussero, nell’aprile del ’75, alla caduta del governo di Saigon e alla riunificazione di tutto il Vietnam sotto il governo comunista di Hanoi. Oltre due milioni di morti (58.000 americani) e uno dei più grandi traumi della storia dell’America.
Altre cause imperialiste all’altra estremità dell’Asia con il riesplodere della questione palestinese – il conflitto fra gli Stati Arabi e Israele – latente fin dal 1956. Fra il 5 e il 10 giugno 1967 Israele per uscire dallo stato di insicurezza e di minaccia attacca Egitto, Siria e Giordania con “La guerra dei sei giorni”, presentata come guerra difensiva preventiva. Risultati devastanti. Israele con una netta superiorità militare e azione attentamente preparata annienta tutte le forze nemiche e occupa i territori egiziani del Gaza e del Sinai fino a Suez, le alture siriane del Golan e la Cisgiordania con la parte orientale di Gerusalemme.
La questione palestinese riguardava un piccolo lembo di terra del Mediterraneo orientale che per complessità storica e importanza strategica assume forte carattere simbolico, tanto da indurre le due superpotenze a schierarsi: l’Unione sovietica appoggiò gli Stati Arabi e la causa palestinese, e gli Stati Uniti appoggiarono Israele.
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU stabilì, il 22 novembre 1967, il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati e il rispetto per la sovranità di ogni Stato dell’area.
Gli Stati arabi – con l’esclusione dell’Arabia Saudita – divennero antiamericani, rifiutarono di riconoscere Israele e crebbe il loro odio per il sionismo sempre più indistinguibile dall’antisemitismo: il sionismo si rifaceva alla parola di Dio della Terra Promessa, circolavano le edizioni dei “Protocolli dei savi di Sion”, e ciò metteva in grave imbarazzo le coscienze degli europei che nel ’67 raggiunsero il massimo schieramento filoesraeliano, passando poi negli anni ’70 e ’80 al fronte opposto.
L’Olp – Organizzazione per la Liberazione della Palestina -, sorta nel ’64 sotto la presidenza di Yassir Arafat, divenne con i diversi gruppi armati che vi confluirono una forza di battaglia aperta che respingeva la Risoluzione 242 – emanata sulla scorta del VI capitolo della Carta delle Nazioni Unite – e voleva la distruzione dello Stato d’Israele. (continua)

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