Servirebbe un nuovo Pasolini
L’estinzione, traumatica, rapida e repentina, del mondo contadino, della civiltà rurale, delle borgate sottoproletarie di cui scriveva Pier Paolo Pasolini, scomparsa avvenuta nell’arco storico di un decennio, tra l’inizio degli anni ’60 e la prima metà dei ’70, un periodo intenso, in cui esplose il benessere di massa, prodotto di quel “boom economico” di cui io stesso sono “figlio” (essendo nato nel 1964, appartengo alla generazione ribattezzata dei “baby boomer”), fu una sorta di transizione epocale e brutale, di mutazione antropologica che ha stravolto l’identità culturale e la composizione sociale di una nazione, intesa come “media” delle diverse culture di classe, dei dominanti e dei dominati. La mutazione antropologica degli Italiani fu favorita e caldeggiata con vigore dall’avvento di quel “Potere senza volto” di cui già parlava Pasolini. Si tratta di un Potere economico nuovo, cinico e feroce, che non ha esitato a disfarsi dei “valori” etici e morali più tradizionali, cioè la religione, la famiglia, la patria, di cui pure si erano avvalsi, sia il regime clerico-fascista di Mussolini, sia nei 30/40 anni successivi, il regime democristiano. Negli anni successivi, tra gli anni ’90 e il primo decennio del duemila, il regime berlusconiano costituì lo sbocco più “logico e naturale” di quel Potere non più tanto nuovo, il cui strumento principale di propaganda e di affermazione è la pubblicità commerciale e televisiva. Oggi è in atto un’altra, profonda rivoluzione capitalista, i cui contorni sono indefiniti ed ancora da decifrare, cogliere ed approfondire, come seppe fare Pier Paolo Pasolini oltre 46 anni fa. Oggi servirebbe l’ausilio di un analista acuto, quasi “profetico”, di un osservatore assai geniale, audace e lungimirante, quale fu Pasolini. Il sottoscritto è solo un modesto, umile opinionista.
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