Serenate in dialetto (parte prima)
Una volta si usavano le serenate per manifestare i propri sentimenti all’amata, viste le scarse occasioni d’incontro, durante le quali poter dare sfogo alle passioni e alla voglia di dire “Ti amo” alla fanciulla prescelta. Capitava pure che le selezioni matrimoniali, a volte venissero operate direttamente dalle famiglie, dopo aver reciprocamente valutato le rispettive posizioni sociali ed economiche, ed essersi accordate sul “dare e avere”. Per una serenata, in genere, si attivavano almeno due o tre persone, tra le quali, uno era il diretto interessato e gli altri suonavano (generalmente chitarra e mandolino) o prestavano la voce al canto, se il pretendente aveva una scarsa predisposizione vocale. La mia bisnonna Rosina, che era nata a Filettino, mi raccontava che l’allora
suo spasimante, il bisnonno Gigi, sanguigno veliterno, essendo lei inizialmente poco propensa ad accettare le sue profferte amorose, la riempiva di serenate. Molto si rammaricarono i vicini di casa, quando il matrimonio venne celebrato, in quanto dovettero fare a meno del gradevole passatempo musicale, che piacevolmente li intratteneva quasi tutte le sere.
Una delle serenate in dialetto rocchegiano è stata frutto, molti anni fa, di un “reclamo” in diretta, tra il giovane marito e il suocero che probabilmente non aveva ancora onorato economicamente, i precedenti impegni matrimoniali.
Così la prima lite tra gli sposini aveva subito acceso l’animo del neoconsorte, di giusta ribellione, per cui il giovane sposo, sotto la finestra del suocero intonò: – J’ha datu gnente a fijeta? Repijetela, repijetela! J’ha datu gnente a
fijeta? Repiejetela com’étè – (Hai dato niente a tua figlia? Ripigliatela così com’è).
Il suocero, al quale evidentemente non mancava la battuta pronta, replicò alla richiesta del genero, “in diretta serenata”: – T’a si’ pijata e tiettela, mantiettela, mantiettela!! T’a si’ pijata e tiettela, mantiettela com’étè!! – (Te la sei presa? Tienitela e mantienila così com’è!) Naturalmente i vicini, con la consueta discrezione che generalmente ancora oggi li contraddistingue, aggiunsero la loro strofa cantata: intonarono infatti che, se di tutta quella discussione, se ne fossero accorti anche i rispettivi parenti degli sposi -individuabili chiaramente con i rispettivi soprannomi (e nomére), e tra i quali qualcuno per lavoro, “portea a cistra ‘n cuollu” (portava il canestro sulle spalle) – probabilmente non si sarebbe arrivati a una pacifica conclusione della diatriba in atto.
Godendo di buona salute, ai giorni nostri, gli eredi delle famiglie interessate, si intuisce e ci si rallegra della positiva risoluzione della lite “sonata e cantata”.
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