Seppellite il mio cuore a Wounded Knee
Erano i primi anni ’70 quando uscì questo libro famosissimo di Dee Brown, che narrava con taglio da storico e non romanzato la conquista del territorio americano da parte dei “visi pallidi”.
“Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne e i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un’altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno… il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l’albero sacro è morto.” Così racconta Alce Nero (in “Alce nero parla” di Neihardit), indiano della famiglia Lakota-Sioux (1863-1950), uomo di medicina, che tra l’altro combattè a Wounded Knee, convertito al cristianesimo nel 1903 ma che fino alla morte continuò ad essere uno sciamano tra la sua gente, non ravvisando alcuna contraddizione tra il cristianesimo e le sue tradizioni.
Wounded Knee è ancora oggi un luogo sacro per gli eredi di Alce Nero, ma bulldozer e cemento minacciano questa terra: per salvarla servirebbero 3,9 mil. di dollari. Una cifra spropositata per la poverissima tribù dei Sioux Oglala, che lì vive. Sono 40 acri di prateria che dal 1968 appartengono a James Czwczczynsky, il quale dichiara di aver provato per anni a venderlo agli indiani. La storia è finita sul New York Times ≪La nostra battaglia per sopravvivere continua oggi, per preservare non solo la nostra cultura e la nostra lingua, ma anche la nostra storia e la nostra terra», così si è espresso l’ex presidente della tribù Cheyenne River Sioux, Joseph Brings Plenty, che ha richiesto al presidente Barack Obama un intervento federale contro la vendita di Wounded Knee, per preservarlo come monumento nazionale. Il massacro di Wounded Knee avvenne nel dicembre del 1890 e morirono 120 uomini, 230 tra donne e bambini, tutti indiani, e 25 soldati “bianchi”. Anche l’attore Robert Redford si è schierato a favore degli indiani, ma riuscirà assieme alle voci degli spiriti degli antenati che ancora si sentono tra i pini a fermare l’odore dei soldi?
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