SECOLARIZZAZIONE ED EVANGELIZZAZIONE: QUALCHE SPUNTO
Perché la gente frequenta sempre meno le chiese? Perché a livello giovanile la rispondenza dei ragazzi è irrisoria o limitata per lo più alla catechesi (catechismo) sacramentale? Perché l’indifferenza religiosa ha sostituito l’ateismo di qualche decennio prima? E perché le vie del Concilio sono state da tempo abbandonate per ritirarsi su percorsi meno impegnativi e più illusoriamente gratificanti?
La risposta che viene data normalmente e più semplicisticamente consiste nel solito e scontato refrain della secolarizzazione che avanza, cui si aggiungono – nella contingenza – le ‘limitazioni’ dovute alla pandemia con i conseguenti distanziamenti ‘sociali’ che impedirebbero la presenza e la partecipazione della gente, mentre si tira anche in ballo l’indifferenza nonché l’incredulità generalizzata riguardo i discorsi di fede, o ancora le solite scuse (o presunte tali) sugli impegni familiari o di lavoro o ‘ludici’ di adulti e giovani che ne limiterebbero il tempo residuo per una partecipazione ‘religiosa’; non meno portata in ballo è la presunta mancanza di ‘presa’ (oggi si direbbe appeal) dei pastori nel contattare le persone di ogni età, e in particolare giovani e adulti.
Insomma sono tante le cause che si portano a giustificazione di una meno assidua frequenza delle persone nell’approccio alla fede, che le più recenti statistiche in Italia riportano col metro dei praticanti che non arriverebbero al 25%.
Quello che risulta più evidente è il fatto che oggi si può fare a meno della trascendenza e dell’interrogarsi su Dio e sulle cose ‘ultime’, sostituendolo con l’affidamento fideistico alla scienza. Ma in non pochi casi un certo tipo di ‘allontanamento’ si riscontra anche da parte di credenti e praticanti che non vedono nella loro chiesa un legame affettivo ma solo un astratto indottrinamento che non stimola assolutamente le persone ad interrogarsi di nuovo sulla propria esistenza e la propria fede, tanto più che la propria ‘chiesa’ spesso si rivolge a quanti già più o meno sono ‘convertiti’ e magari proni e obbedienti, a coloro che ritengono di non aver dubbi; ma, come insegna anche papa Francesco, non c’è fede se non ci sono dubbi, mentre da alcuni pulpiti si cerca di instillare solo certezze senza un invito alle persone ad affrontare un itinerario di cosciente adesione alla fede (che comunque resta sempre un dono) e viverla ‘comunitariamente’, superando l’individualismo che anche una certa prassi catechetica ha accentuato in una società che è stata definita ‘liquida’. Scriveva Massimo Borghesi su L’Osservatore Romano del 15 maggio 2021: “nel mondo senza legami’ il tema del senso della vita rappresenta la conclusione di un ragionamento logico quanto l’esito della scoperta di sentirsi amati, voluti bene. A questa responsabilità ‘affettiva’ sono oggi chiamati in primis i presbiteri e i religiosi, uomini e donne. Le chiese sono vuote quando i pastori invece di essere tali sono burocrati, funzionari, impiegati. Il problema della Chiesa odierna è che difetta troppo spesso di pastori, di persone che amano Cristo e condividono la vita di coloro che sono loro affidati. La secolarizzazione rappresenta, da questo punto di vista, l’alibi che nasconde il vuoto di fede e di tenerezza, la distanza tra le parole, spesso altisonanti e melliflue delle omelie e la prossimità reale capace di saluti e di gesti.”
Ai burocratici pastori occorrerebbe anche aggiungere certi laici obbedienti, proni o semplici esecutori di ordini verticistici, che non hanno il coraggio di esprimere un loro parere ed offrire contributi intelligenti secondo la dignità propria di un laico credente e dei carismi donati e da mettere in circolazione.
Detto questo, per entrare ancor più concretamente in argomento, il punto di partenza fondamentale per un approccio anche ‘catechistico’, non può che essere quello di attenersi alla pedagogia del Vangelo. In particolare possiamo far riferimento anche solo ad una delle tante parabole come quella della samaritana, dove, intanto, la conclusione è che non si adorerà più il Signore nel tempio, ma verranno tempi in cui si adorerà in spirito e verità, per cui non è contando le persone nelle Messe o in qualche iniziativa di preghiera o adorazione che si può trovare l’unità di misura per calibrare la fede di una comunità. Ma affinché ciascuno possa essere aiutato a maturare un concreto e condiviso itinerario di fede, occorre saper discernere anzitutto i ‘segni’ dei tempi ed essere attenti alla vita quotidiana delle persone: quando infatti Cristo si avvicina alla samaritana per chiederle da bere, ci mostra anzitutto il suo incontrare direttamente, direi ‘fisicamente’, le persone, con le quali entra in dialogo, aiutandole a far sì che pervengano da se stesse a quanto il Salvatore vuol farle comprendere: partendo cioè dalla vita reale, quotidiana e senza voler inculcare un indottrinamento. Il che significa anche aiutare le persone a recuperare il vero senso della vita, riflettendo sulla vita stessa qualunque essa possa essere.
La ‘didattica’ di Cristo si esprime mediante l’incontro personale; anche se poi sta all’interlocutore la libertà di rispondere positivamente o meno alla domanda e quindi alla sequela.
Nel tempo della secolarizzazione e del post-moderno, è doveroso seguire quanto affermava papa Paolo VI: “L’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo” (EN ,29).
Giovanni Paolo II a Nowa Huta in Polonia, nel 1979 lanciò quella che sarebbe divenuta la cosiddetta ‘nuova evangelizzazione’.
E più specificamente papa Francesco ha ribadito che “l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana” (Evangelii Gaudium n. 14). In questa prospettiva Francesco invita insistentemente ad ‘uscire’ dalle chiese (la chiesa ‘in uscita’, perché sia missionaria ma non ‘proselitista’) e a non aver paura di una chiesa che può sbagliare (‘incidentata’) ma almeno incontra le persone, cioè, praticamente quelle 99 pecorelle che sono uscite dal recinto ecclesiastico in cui tutti coccolano l’unica pecorella che vi è rimasta (forse una ‘pecorella bigotta’!).
Per questo è importante che l’evangelizzazione sia strettamente legata alla promozione umana. Su questo tema si era svolto il famoso Convegno di Roma del 1976, le cui linee programmatiche però furono successivamente completamente disattese abbandonando anche la prospettiva formativa che doveva richiedere costanza e tempi lunghi nonché mediazione tra fede e storia, preferendo invece – la chiesa in Italia – richiudersi su un prototipo difensivo e corredato di grandi raduni collettivi con l’illusione di dimostrare l’illusoria esistenza di un cristianesimo di maggioranza nel Paese! E così si sono visti raduni organizzati da associazioni e movimenti rumorosi ma evidentemente senza una sostanza, se poi lo stesso cardinale Ruini, successivamente parlò di ‘afasia’ dei laici, così affidando i poteri e la parola ad un nuovo clericalismo accentratore, di vertice. Papa Francesco sta finalmente operando per un cambio di rotta e un riaggancio ai documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, per questo è osteggiato da tutti quei preconciliari e ‘tridentini’ che non hanno voglia di impegnarsi nel mondo odierno con una fede ‘adulta’ ma preferiscono il comodo rinchiudersi nelle sicurezze più o meno oranti di un archetipo medievale, per cui viene ignorata o addirittura contestata l’esortazione del papa per una chiesa, in Italia e a livelli locali, che sia chiesa sinodale, cioè partecipata da tutte le sue componenti e non clericalizzata (rischio e pericolo da rifuggire e su cui il papa insiste spesso perché ce se ne allontani).
Pertanto occorre che anche nella nostra diocesi – ma su questo occorrerà tornarci in un successivo articolo – si superi un clericalismo di risulta e si abbandoni un certo fare prediche o indottrinamenti, per una testimonianza, fuori ma anche dentro la comunità cristiana locale, dove soprattutto i laici possano esprimere la loro dignità e il coraggio della testimonianza uscendo dalla tranquilla e improduttiva modalità di esecutori passivi, sia pure ossequiosi e obbedienti; a tal proposito credo sia abbastanza significativo quanto affermava ancora Paolo VI: L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni (Evangelii nuntiandi n.41).
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