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Se tutto va bene, siamo rovinati

Luglio 25
19:35 2011

Qualunque opinionista, di norma, parte da una lunga esposizione per poi arrivare a concludere enunciando – in poche righe – il nocciolo del suo pensiero, ossia quello che veramente ci teneva a porgere alla riflessione altrui. In tal modo, però, il lettore deve leggersi tutta la filippica per poi magari accorgersi che la tesi finale non è di suo gradimento, anzi gli dà persino sui nervi. Chi scrive queste note, pertanto, vuole procedere all’inverso e cominciare subito dalla fine: il cortese lettore, quindi, ne viene avvantaggiato e così se non gradisce l’opinione può immediatamente “sintonizzarsi” sull’articolo successivo, senza perdite di tempo. Spero che, almeno per questo, me ne sarà grato.
Ciò premesso, cominciamo subito: l’Italia è un Paese senza speranza e senza futuro. Vi sembra un concetto troppo forte, un pugno allo stomaco? Chi non condivide, passi subito oltre, inutile perdere tempo con un anziano pessimista, magari pure mezzo rimbambito. Se però ci fosse qualche temerario che vuol saperne di più, allora sarò onorato di esporgli il mio pensiero. Paradossalmente, le mie preoccupazioni sfiorano appena il versante squisitamente economico. L’Italia è il solo Paese occidentale che non ha risentito più di tanto dello tsunami finanziario partito dall’America: il problema dei famosi mutui “subprime”, ad esempio, è talmente fuori della nostra cultura che già diventa un problema il solo spiegarne i meccanismi alla gente comune. La nostra fortuna-sfortuna è che in Italia le banche sono solidissime e ciò per un preciso motivo: da noi il credito viene concesso solo a chi ha già credito, in altre parole i finanziamenti vanno a chi i soldi già ce li ha. Sembra una battuta, ma provate a farvi prestare mille euro da una banca senza avergli presentato una catasta di carte da cui risulti con certezza che possedete beni per cento volte tanto. Provate a dirgli che avete un progetto fenomenale e collaudato che aspetta solo di essere finanziato: riceverete in assoluto omaggio una cordiale sporta di pernacchie. Sfido a vedere in lieve difficoltà anche un solo istituto di credito nostrano! Comunque, buon per loro e per tutti noi.
Altro elemento pessimistico, gli stessi italiani, circa i quali metterò in evidenza un paio di caratteristiche preoccupanti. Potrei pescare a piene mani in qualunque campo, ma penso che queste due siano già molto indicative. Punto primo, stampa e intrattenimento. In Italia la stampa d’informazione quotidiana perde terreno in caduta libera, mentre le testate settimanali dedicate al puro gossip anche demenziale stanno per tagliare il traguardo di quota cento, brindando ad un successo esponenziale fatto di stramilioni di copie vendute: da notare che il giornale pettegolo più “scrauso” vende quanto un primario quotidiano nazionale. Il fatto si commenta da sé. Va pur detto però che, salvo rarissimi casi, la stampa di casa nostra non è che meriti molto meglio. In Inghilterra, un Paese serio, un vendutissimo periodico ha addirittura chiuso i battenti e licenziato centinaia di dipendenti per faccende che a casa nostra farebbero ridere, dato che quei discutibili metodi da noi sono invece prassi corrente. Premesso che da noi i giornali sono tutti invariabilmente “liberi” e “democratici” – aggettivi tanto usurati da fare il paio con frasi tipo “sentite condoglianze” o “sinceri auguri” – in nome della “libera informazione” (altro feticcio che a quei livelli di dimensione economica serve solo a gabbare il prossimo) alcuni fanno molto peggio della buonanima del “News of the world“. E nessuno se ne scandalizza, col pretesto della libertà e quant’altro: tra il puro arbitrio e la libertà il confine è assai incerto. Del resto, cosa disse Madame Roland andando verso la ghigliottina? “O libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!
Ci sono poi fughe di notizie? La “libera” stampa a sua volta ne incolpa le fonti violate. Da noi non c’è legittimo segreto destinato a rimanere tale, non c’è processo, indagine, trattativa politica, diagnosi medica, che non possa essere scardinata dal totem chiamato “diritto di informare la gente”: che poi alla “gente” possa perfino non fregargliene nulla è un fattore ininfluente, l’importante è pescare nella melma. Ma, guarda caso, le copie vendute scendono. Tutto questo non vuol certo dire che la stampa è artefice del malcostume generale ma soltanto che, spesso, si trova ad esserne più o meno consapevolmente complice.
Quanto all’intrattenimento, il successo della tv spazzatura è straripante: ore e ore di programmazione sui delitti più efferati, con dovizia di particolari tanto atroci quanto inutili; Grandi e Piccoli Fratelli; isole dei Famosi ma soprattutto degli affamati di grana e popolarità. Ma gli affamati di questo pattume mediatico sono milioni e stramilioni: magari non sanno la differenza tra Camera e Senato ma sanno tutto sul bell’idiota palestrato in mostra nei salotti tv. Ne volete ancora?
Punto secondo, le responsabilità. Se non fa comodo a qualche lobby politica o di pensiero, in Italia non sono mai di nessuno ma sempre di qualcun altro che però non si riesce mai a identificare. C’è la fuga di notizie dal tribunale? Parte subito l’inchiesta di rito che come sempre finisce nel nulla: voi avete mai sentito condannare o anche solo incriminare qualcuno per fuga dolosa di notizie? Zero assoluto. Un crollo, un incendio, un qualunque disastro di origine umana? Nessuno è colpevole, salvo qualche poveraccio marginale che non aveva abbastanza milioni per assoldare l’avvocato di grido. L’ubriaco di turno investe per strada dieci ragazzini? Arrestato, processato e rimesso subito in libertà con le scuse e con gli inchini. Ma la colpa allora di chi è, di chi ha sbevazzato oltre ogni limite umano e di legge? Ma no, ma quando mai, la colpa è degli “altri”, no? Che so, la società spietata, l’adolescenza difficile, l’ambiente degradato, e via con queste lepidezze facendosi beffe della vera giustizia e dei parenti addolorati e inferociti. Già, questo poi aprirebbe un’altra porta che è meglio resti invece ben chiusa: in Italia la legge non è mai (dico, mai) dalla parte delle vittime. Ed è quindi perfettamente inutile e ipocrita stupirsi se un presidente brasiliano scambia deliberatamente un terrorista conclamato per un martire della fede: è esattamente ciò che di norma accade da noi, dove rozzi assassini da quattro soldi vengono incensati, corteggiati, ascoltati come oracoli e pagati per questo a caro prezzo, in tv e sulla stampa. E le vittime? Ma sì, vabbè, tanto quelli ormai sono morti e amen. Vogliamo fare un elenco? Piazza Fontana, Piazza della Loggia, stazione di Bologna, Ustica, ecc. ecc. non finiremmo mai.
Potremmo poi parlare delle politiche inconcludenti degli schieramenti politici. L’attuale maggioranza (?) naviga più o meno a vista, con gli stessi strumenti del “Titanic”. L’opposizione – priva del minimo straccio di proposta organica – in mancanza di argomenti seri e ponderati anch’essa naviga a vista e continua ad appigliarsi all’antiberlusconismo più sterile. Devo ammettere che ha ragione perfino Di Pietro, un politico che non stimo affatto, quando dice “basta” e pretende che l’opposizione si presenti al Paese con proposte concrete e non soltanto con le solite sghignazzate sul “bunga bunga”: dei reati, se sono tali, se ne deve incaricare la magistratura; del governo del Paese se ne devono occupare le forze politiche. Però in questa Italia da operetta può succedere che i due attori, più spesso, si scambino le parti, ma questa – in termini assai più sfumati – è perfino l’opinione del Capo dello Stato. La mia conclusione? Chi ha voluto seguirmi fin qui la conosce già.

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