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Se ci è ancora concesso di riflettere

Se ci è ancora concesso di riflettere
Gennaio 17
00:00 2012

art-onoratiNon accenna a placarsi il braccio di ferro fra le agenzie di rating e le istituzioni finanziarie. Se ne ha notizia solo quando le minacce di riduzione dei “voti” si rivolgono ai prodotti finanziari emessi dagli Stati sovrani, in particolare i titoli di stato. Ci è dato vedere solo la punta dell’iceberg, ma quello che c’è sotto è molto più grosso e non è (o non vuole essere) dato di conoscere se non a pochi. Le guerre finanziarie non hanno aspetti roboanti, non fanno rumore, ma sono deleterie e fanno molto male, anche se non si manifestano con spargimento di sangue. Le vittime sono milioni di persone che hanno sottoscritto il debito pubblico, impegnando i loro risparmi, la cui difesa è delegata alle istituzioni, soprattutto a quelle politiche che attraverso scelte di governo pongano in essere le giuste soluzioni. Abbiamo però potuto constatare quanto siano poco preparati e soprattutto propensi, i governanti, a recepire le priorità riguardanti il bene nazionale. E ciò non solo riferito alle vicende della nostra nazione, ma anche a quelle dell’Europa in generale.

Si evince dagli ultimi accadimenti quanto sia maggiore l’attenzione posta nei riguardi del voto elettorale nei singoli Stati membri invece che nei riguardi delle scelte economiche e finanziarie da attivare per soluzioni tese a salvaguardare l’interesse dei popoli che costituiscono l’Europa. Ha ragione chi, ormai da più parti, dichiara che non esiste una visione europeista che valuti la Nazione Europa come un solo popolo, ma si resti agganciati ai criteri di diffidenza e sospetto che animano le diverse etnie socio-culturali. Fortunatamente questo aspetto, molto negativo nel suo insieme, rende meno importanti, certo molto meno che nel passato, le dichiarazioni delle agenzie di rating. Le ragioni sono molteplici, ma una in particolare costituisce la base di riflessioni: come mai le minacce di abbassamento dei rating vengono date in pasto al pubblico solo dopo momenti di tensione politica determinati da importanti riunioni dei rappresentanti degli stati europei? Che sia vero, in tutto o in parte che le stesse agenzie tengano bordone a quel perverso gioco di calunnie che, agitando le borse e rendendole più volatili e nervose, favorisca gli speculatori nell’intervenire sui mercati per ottenere facili e corposi guadagni? Credo che ci sia del vero in questo assunto. Provo a fare alcune piccole riflessioni. Ci sono, in Europa, stati che non solo aderiscono all’Unione, ma hanno anche aderito alla moneta comune e stati che aderiscono mantenendo la loro moneta storica. In tutte e due le categorie ci sono stati valutati dalle agenzie con la tripla A, cioè con la massima valutazione di solidità finanziaria e di affidabilità governativa. E qui una prima piccola riflessione: non ci sono parametri omogenei di comparazione, la moneta è diversa e, se pur in presenza di correttivi, i cambi valutari non garantiscono totalmente. Quindi ci sarà anche un diverso peso dato alla solidità e alla governabilità che non nei paesi a moneta omogenea e risulta strano che le minacce di abbassamento di rating nonché notizie fumose e poco tranquillizzanti riguardino solo le nazioni appartenenti all’area euro. L’attacco finanziario degli ultimi tempi si è spostato dall’Italia, che per molto tempo lo ha subito e continua a pagarne le conseguenze, alla Francia, per ora solo minacciata. Certo, l’Italia, che rimane comunque il terzo Paese della Comunità per importanza, è l’anello debole della catena, con il suo debito pubblico eccessivo e con una mentalità “facilona” così ben rappresentata dai nostri parlamentari e quindi facile preda per i cacciatori di vittime finanziarie. Ma si voleva proprio colpire solo l’Italia o dietro questa facciata si nasconde un disegno più articolato e per certi versi peggiore? Ambedue le cose, credo. In primis, riuscire a far calare il valore dei nostri titoli di Stato di circa il venticinque per cento ha messo in regola i conti di molte istituzioni finanziarie (vedi i fondi comuni d’investimento) che, avendo in portafoglio corpose quantità dei nostri titoli a prezzi stagnanti, con scarso se non addirittura negativo rendimento per i sottoscrittori e vendendoli all’inizio “dell’attacco” per poi ricomprarli adesso, hanno lucrato ottime performance che hanno loro permesso di non avere ripercussioni troppo negative sulle sottoscrizioni. Ma una riflessione più preoccupante è quella che riguarda la moneta comune, l’euro. Da più parti si dice ormai che costituisce il bersaglio di chi genera destabilizzazione e turbolenza e che l’attacco agli stati membri sia anche il mezzo per farla crollare, oltre alle motivazioni sopra espresse. Come dire: prendiamo due piccioni con una fava! Ma chi avrebbe interesse a tutto ciò? La risposta è certamente difficilissima e comunque coinvolgerebbe molteplici interessi, primo fra tutti la disgregazione di una comunità non ancora effettiva, ma sicuramente potente e dominante qualora fosse veramente aggregata e funzionante con regole comuni e istituzioni condivise. Questo fatto da solo giustificherebbe la violenza dell’attacco. Inoltre se è vero che l’unione fa la forza, è anche vero che combattere contro un solo avversario alla volta rende più facile la vittoria che combattere contro più avversari uniti. Non tralasciando il fatto che, indebolendo i singoli stati, si possa più facilmente impossessarsi dei pacchetti azionari delle loro migliori imprese. Notizia alla quale non è stato dato, forse, il giusto risalto, è quella che la Cina sta tentando l’acquisto di pacchetti azionari di maggioranza di alcune valide imprese tedesche. Credo sia opportuno che i governanti valutino con attenzione quegli aspetti specifici ma anche importanti che riguardano la sopravvivenza del tessuto imprenditoriale, sul quale si basa la vita economica di ogni stato. Magari dando meno importanza ai voti e soprattutto allo scranno in parlamento.

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