Se aprile non è luglio. La memoria in un’immagine
I nomi di Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli, Lauro Ferioli ed Ovidio Franchi a molti non diranno nulla, se non a coloro che eventualmente abitino nelle strade e nelle vie dedicate alla loro memoria. Loro che il 7 luglio 1960, a Reggio Emilia insieme a molte altre persone, giovani, operai, contadini si opposero con tutta la loro forza all’ennesimo tentativo di svolta autoritaria nel nostro Paese. Quel giorno ebbe luogo una “macelleria messicana” ante litteram, per dirla con le parole del vice questore Michelangelo Fournier quando si riferisce alla Genova del 2001. Le poche immagini che circolano su Internet, mostrano i pericolosi caroselli delle camionette della Celere tra i manifestanti, i ragazzi dalle magliette a righe, i funerali delle cinque vittime.
Ma quelle che colpiscono nel segno sono quella del poliziotto Orlando Celani che in Piazza della Libertà spara uccidendo Lauro Ferioli, 19 anni, e quella dove si vede il corpo del giovane, ripreso dall’alto, attorniato dai soccorritori. Si vedono le gambe insanguinate e i calzoncini corti. E forse è proprio questo piccolo particolare che richiama l’attenzione e che muove a pietà. Essi dovrebbero essere appannaggio di un’altra età, di passeggiate sulla spiaggia o di una serata d’estate al bar con gli amici. Non dell’ imminenza di un colpo di stato. Rispetto a Genova di undici anni fa, dove tutti fotografavano tutti, dove il corpo di Carlo Giuliani viene ripreso e oscenamente sezionato da migliaia di immagini, dove sembra che un fotografo si sia avvicinato per strappargli il cappuccio per riprendere il viso, le immagini di quel luglio del ’60 sembrano essere quasi pudiche, ma quelle immagini rendono bene il clima di quei giorni. Il clima che il governo Tambroni con la complicità dell’allora MSI voleva instaurare era quello, color canna di fucile, simile al luglio di quarant’anni dopo. Dopo Portella della Ginestra, e prima dei tentati golpe e delle bombe nelle piazze e sui treni, la DC, il partito-stato che già da quattordici anni è al potere, non ci pensa due volte a tentare di destabilizzare l’Italia con il fattivo aiuto dei fascisti e dei monarchici. In seguito agli scontri di Genova del 30 giugno e quelli a Porta San Paolo a Roma il giorno prima, dove l’olimpionico D’Inzeo comanda le cariche a cavallo contro i manifestanti, a Reggio Emilia quindi si spara. Ma anche a Licata, a Catania, a Palermo la polizia spara e uccide. Feriti si contano a Napoli, a Modena e Parma. Tre dei cinque morti di Reggio avevano visto la guerra, da partigiani. Sono immagini dicevamo quasi pudiche e misurate quelle del luglio di cinquant’anni fa se paragonate a quello che vediamo oggi. Dall’uccisione di Gheddafi agli scontri in Siria fatte col telefonino, flussi ininterrotti di frame che si rincorrono istericamente da un angolo all’altro del pianeta e riproposti all’infinito dalla Rete, sono il paradigma di una società stanca e inquieta, senza una vera causa. In questi giorni che hanno visto un breve balenio di giustizia, rileggere il Pasolini di allora e rivedere le immagini di quel luglio, non può che farci bene.
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