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Scritte sui muri

Agosto 05
23:00 2007

È una tranquilla giornata di giugno. Sono nato sotto il segno del Sagittario. A dicembre raggiungerò la veneranda età di 52 anni. Non mi ritengo né allegro, né spiritoso e se pensate che sia soddisfatto del mio stipendio da statale, potete allora definire Bagdad una meta turistica. Abito ad Ostia, il Lido della Città Eterna. Questo quartiere mi è sempre piaciuto, con le sue strade diritte, le case colorate e l’odore di salmastro diffuso nell’aria. In questi mesi di inizio estate è spesso illuminata da fuochi pirotecnici, tanto che di colpo, invece che ad Ostia, sembra di essere a Beirut. Bene, adesso, dopo aver degustato un ottimo caffè, guardo la TV. Ma cosa stanno dicendo i commentatori del telegiornale? Rabbrividisco. In Europa gli ospedali vanno a pezzi. In Cina campagne allo stremo. In America latina case confiscate. In Africa corpi di bambini avvelenati con cibi sospetti. Nei paesi integralisti menti all’ammasso. In Iran lo spirito vitale del paese straziato, ridotto all’ultimo respiro. Nei paesi dell’est i posti di lavoro si assottigliano. Basta, non ce la faccio più. Spengo la TV. Meglio leggere il giornale. Ma cosa c’è scritto in prima pagina? No, non è possibile! Giustiziati i tre cattolici indonesiani condannati a morte dopo scontri con gruppi musulmani nel 2000, in cui morirono centinaia di persone. Alcuni testimoni oculari, nei giorni scorsi, hanno insistito inutilmente sulla loro innocenza. Ah, adesso sì che mi sono rovinato la giornata. Questa notizia mi risulta molesta quanto il trapano di un dentista.
Sul tavolo ho un bicchiere colmo di vino bianco. Gelato. Sorseggiandolo, continuo a leggere. Panico: i tassisti sono dei veri pescicani. Quando capiscono di avere un passeggero straniero triplicano il prezzo della corsa. Incredibile! Getto il giornale sul divano. Mi infilo frettolosamente camicia e pantaloni, indosso la giacca ed esco.
Mi piace passeggiare sulla riva del mare, sprofondando nel labirinto della memoria. E riflettere. Su tutto quello che mi passa per la mente. Ostia ha recentemente acquistato un certo stile di vita bohémien, pieno di stimoli, quanto mai eccitante. Pittori, poeti, attori, artisti; una loquacissima vecchietta con un enorme cane, persino Elia, uno strano clochard accampato per strada in un modo non proprio conforme alle regole dell’igiene. Sembra che sia diventato così dopo tanti anni, in cui la grettezza, la meschinità, l’orgoglio piccolo borghese della vita provinciale hanno colmato la misura per un uomo del suo temperamento. Mah, sarà poi vero?
Lascio la spiaggia e entro in un famoso bar, vicino al Pontile, per un caffè. Intorno a me agenti di borsa e i consulenti aziendali, e tutti gli altri lacchè del capitale. Sfoglio allora un giornale della free pass. Mi colpisce un articolo in prima pagina che evidenzia come negli ultimi tempi televisioni, giornali, riviste e Internet ci abbiano raccontato che le città sono sempre più sporche. Anche per colpa dei graffiti. Ma non sarebbe meglio dipingere a casa propria piuttosto che sui muri degli altri? Ma poi quanti sono i i ragazzi che dipingono graffiti? Forse il 10% della popolazione. E perché allora il restante 90% deve vivere costantemente in una città sporca? E lo stesso vale per i crescenti vandalismi: l’ultimo della serie, imbrattare con vernici i vetri frontali di tram e bus, così che la guida e quindi l’utilizzo sia impossibile. Si dice che questo è il modo dei ragazzi di esprimere il loro disagio. Ma ogni generazione ha avuto i propri disagi, anche ben più drammatici degli attuali. Basti pensare alle guerre alla fame, all’emigrazione massiccia. E allora basta con con l’accettazione passiva di un degrado estetico nonché etico. Converrebbe dire dei no chiari e motivati, e farli rispettare. Con uno sguardo attento, certo, anche a disagi e solitudini, per dare loro una direzione costruttiva. Ma attenzione alla vulnerabilità dell’adolescente. Non può essere confusa come lascia passare per oltraggi, vandalismi e atti di bullismo. Ma ha senso poi parlare di queste cose?. Mah. Certo, ultimamente ho preso la consuetudine di inviare lettere ai giornali, con le quali esprimo considerazioni per cercare di coinvolgere gli altri in un entusiasmo che temo siano invece riluttanti a condividere. Forse perché non tento di dar di gomito all’eventuale lettore con affermazioni sin troppo marcate. E agli amici che mi dicono che i termini con i quali ho a volte criticato la politica governativa colpisce solo per la timidezza del loro estremismo, rispondo che non sono certo un radicale in politica. Riuscendo, però, solo a guadagnare il loro definitivo disprezzo. Ammetto: il mio è un sarcasmo greve e non giocoso, le mie sono considerazioni di improbabile squallore. È anche vero che viviamo in tempi spietati. Nulla ci è perdonato. Nulla ci è permesso. La verità, in fondo, è che le mie, come quelle di tutti, sono opinioni frutto dello sbandamento ideologico di cui, da qualche tempo, la nostra Europa è vittima. Sappiamo inquadrare le sue conseguenze in termini che ci suggeriscono che le risposte appropriate a tutto quello che ci circonda non sia solamente il lamento e la rabbia, ma una grande e sonora risata. Io, vecchio ciellino, non sarò mica diventato qualunquista? Preso da un attacco d’impazienza e di noia, decido di finire con qualcosa di pigro, con un cliché scontato, nella convinzione che lo consideriate un’ultima arguzia autoreferenziale, in carattere con il tema complessivo dell’argomento.
Davvero non so più cosa dire. Detto questo, detto tutto. Dopodiché mi accorgo che tra un pensiero e l’altro sono finalmente tornato a casa.

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