Scienza si, ma non solo
Una visione esclusivamente scientifica del mondo rende l’uomo manifestamente orfano di tutta quell’altra visione che, secondo la teoria della lateralizzazione del cervello, è frutto dell’attività dell’emisfero destro: l’immaginazione, le emozioni, l’arte, i sentimenti, e fra questi la compassione e l’amore.
L’asserzione, da parte del neo meccanicismo biologico, che queste manifestazioni della psiche umana sono da ascrivere all’attività biochimica di determinate molecole o proteine può essere accettabile, a patto che sia garantita con il metodo scientifico, cioè con la provata ripetibilità dell’ipotizzato rapporto causa-effetto di quei fenomeni. Semmai, si può discutere proprio su questa ‘ripetibilità’ e, in un contesto filosofico più ampio, sul principio di causa-effetto. Inaccettabile, invece, in linea di principio, mi sembra l’avversione ad accettare una spiegazione scientifica di fenomeni non materiali (relegati, quindi, in quel regno oscuro dello ‘spirito’ che ospita tutto ciò che almeno apparentemente è immateriale), che è dovuta, probabilmente, alla consuetudine di considerare la scienza confinata alla spiegazione, tramite fatti ed enti materiali, di fatti ed enti materiali. L’interpretazione materialistica di fatti ‘spirituali’ esce da questo schema e contrasta con l’atteggiamento culturale e mentale di chi, invece, è più propenso verso spiegazioni di fatti spirituali con fatti spirituali. In un certo senso, questa logica è convincente, ma tali tentativi di razionalizzazione, se lo spirito è veramente qualcosa di immateriale, non possono poggiare su metodi osservativi e sperimentali, perché non si può né osservare né sperimentare nulla che non cada, sotto qualche forma, nella sfera del sensibile. Allora, se si concepisce lo spirito come qualcosa di totalmente immateriale, ogni sua razionalizzazione, che segua la logica di spiegare lo ‘spirituale’ con lo ‘spirituale’, dovrebbe svolgersi al di fuori di qualunque dato sensoriale, e quindi al di fuori della scienza sperimentale come oggi viene intesa. Se, invece, vogliamo applicare questa allo studio dei fatti spirituali (così come fa la psicologia sperimentale), occorre ammettere che essi abbiano una loro ‘materialità’ (anche se diversa da quella dei fatti ‘fisici’) sia nelle cause sia negli effetti, che ne consenta la percezione da parte di noi stessi e degli altri soggetti, permettendo quindi il processo logico di conoscenza scientifica, che consiste nel trovarne il collegamento con altri fatti materiali. I fatti spirituali possono avere una loro esistenza autonoma fuori di un corpo umano? Può una persona amare, soffrire, gioire, immaginare, creare un’opera d’arte, pensare, se non ha un corpo? Certamente no. Se non si accetta questa impostazione, non rimane che una terza via: i fatti spirituali sono scientificamente indagabili, con metodi sperimentali, perché hanno una loro materialità come ‘effetti’, ma le loro ‘cause’ non sono materiali. Ma ciò equivale ad ammettere che dall’’immateriale’ possa nascere il ‘materiale’.
In ogni caso, il materialismo biologico non mi sembra minare, come molti allarmisticamente paventano, né l’esistenza delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, delle nostre fantasie, né il loro godimento.
I ‘fatti’, di qualunque natura essi siano, sono i dati del nostro vivere; le loro cause e i meccanismi secondo cui si manifestano sono congetture, più o meno affidabili e per noi comode, del nostro pensiero e la loro associazione ai fatti è scienza, non i fatti stessi! La Luna non è un ‘fatto’ né scientifico né poetico, e per questo l’aver scritto una dotta Storia dell’Astronomia non impedì affatto a Giacomo Leopardi di guardarla da poeta e donarci quel sommo capolavoro d’alta poesia filosofica che è il suo Canto notturno d’un pastore errante dell’Asia. Ogni cosa può essere vista da angolazioni molto diverse, che sono le diverse rappresentazioni della realtà. Una di queste, ma non l’unica e tanto meno con qualche particolare diritto, è quella della scienza, che è essa stessa una rappresentazione della rappresentazione del mondo: i dati sensoriali sono già una rappresentazione del mondo, ma su essi non si erige la scienza, così come, per dirla con Henry Poincaré, una casa non è un mucchio di pietre, ma si costruisce con le pietre. E allora i dati sensoriali, affinchè non rimangano un mucchio di pietre, devono essere interpretati e collegati fra loro secondo una certa logica, ed è questo che fa scienza, ma ciò che otteniamo è quindi una rappresentazione (relativa) di una rappresentazione (relativa) del mondo. I ‘fatti’ rimangono intatti, incontaminati dalle nostre interpretazioni. Allora, quali timori possono sorgere nell’ipotizzare un’origine materialistica dei nostri sentimenti e delle nostre sensazioni, piuttosto che spiritualistica? Quale impatto può avere sulla nostra vita spirituale il sapere che essa sia dovuta ad un’oscura entità chiamata ‘spirito’ o a qualche minuscola particella del nostro corpo? La convinzione dell’una o dell’altra ipotesi può cambiare il nostro modo di pensare o di sentire? Forse che l’amore per i nostri figli e per la nostra compagna o il nostro compagno cambierebbe, conoscendone l’origine? Ammesso che sia effettivamente raggiungibile una razionalizzazione dei fenomeni spirituali dell’uomo di tipo meccanicistico-biologico, per cui, per esempio, si sapesse che la tal molecola è responsabile del sentimento d’amore e la tal altra del sentimento di odio, rimane pur sempre impregiudicata la ragione della loro esistenza. E anche quando si riuscisse a dimostrarla, rimarrebbe da dimostrare la ragione della ragione dell’esistenza di quelle molecole, e così via, in un processo, forse senza fine, che sposta sempre più in là i principi ultimi di ogni spiegazione (sono i famosi intelligentissimi ‘perché’ a catena dei bambini, che noi adulti, con grande ignoranza e arroganza, stronchiamo per non fare brutta figura). Tutto questo progresso di conoscenza non può avere alcun impatto sui nostri sentimenti e sulle altre manifestazioni della vita spirituale, così come la conoscenza del meccanismo di caduta di un grave non ha fatto cadere diversamente un sasso rispetto a quando tale conoscenza non era stata raggiunta. Il conoscere i meccanismi di svolgimento dei fenomeni può, invece, servire a manipolarli secondo un nostro progetto, che può essere giusto o ingiusto. Ma il problema ‘morale’ di una tale manipolazione si presenterebbe identico anche nel caso in cui i meccanismi dei fenomeni spirituali, anziché di tipo materialistico, fossero di tipo spiritualistico. Tecniche di pressione psicologica, note come ‘lavaggio del cervello’, non costituiscono forse manipolazioni forzate e finalizzate dei meccanismi della nostra psiche? Quale la differenza, ai fini del risultato, fra queste tecniche e il somministrare, tramite iniezione, eventuali molecole d’odio nel corpo di una persona? Dunque, il progredire della conoscenza ci pone, semmai, sempre più di fronte alle nostre responsabilità di esseri umani, obbligandoci a scegliere di volta in volta e questo non è un problema di scienza ma di coscienza.
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