Scienza per la massa
Leggo in un articolo di Slate questo inizio: «Di tutti i miracoli della vita, questo è di gran lunga il più miracoloso: i corpi delle donne, nella maggior parte dei casi, non attaccano e non distruggono il feto che cresce dentro di loro. Da un punto di vista immunologico, il feto è uno straniero. Come un germe. O un organo trapiantato. E il vostro corpo è programmato per attaccare gli estranei.»
Come si comprende dall’inizio dell’articolo, il miracolo consisterebbe nel fatto che i corpi «delle donne» (e non ‘dei vivipari’) non distruggono il feto. L’inizio dell’articolo mi ha fatto ridere, perché sembra un passo satirico di Aldous Huxley sulla scienza. Ma se Huxley punzecchiava, Randi Hutter Epstein – autore dell’articolo di Slate intitolato «Il vostro feto è uno straniero: e allora perché il corpo d’una donna incinta non l’attacca?» – intesse, dal suo punto di vista, un serio parallelismo.
Quando leggo che «Da un punto di vista immunologico, il feto è un estraneo,» mi viene da pensare che sia sbagliato il punto di vista degli immunologi, non il comportamento del corpo femminile. È la biologia a doversi adeguare ai processi della natura, e non il contrario, se vuole essere utile all’umano sapere. Cercando di ricostruire come funziona la natura, e non perché.
Un feto è un feto, mentre un parassita proviene da una specie diversa. Se due cose hanno molte caratteristiche in comune, devono esser tenute distinte per saperne di più su ciascuna di esse, altrimenti non ci si trova di fronte a due cose, ma ad una. Abbiamo parole come ‘mela’, ‘arancia’, ‘limone’, ‘uomo’, ‘cavallo’, ‘pietra’. I nostri antenati hanno scoperto che un rudimentale equivalente della parola ‘oggetto’ che serviva ad indicare queste entità diverse non fosse bastevole: qualcosa poteva esser mangiato; qualcosa poteva essere usato per pregare, tagliare e frantumare. Noi continuiamo a fare allo stesso modo, inventandoci parole come ‘bosone’.
Una ricerca scientifica non deve spiegare il perché dei fenomeni, bensì come essi funzionino o potrebbero funzionare, presentando uno o più modelli che possano tornare utili ad altri ricercatori. I ricercatori scientifici seri non perseguono la verità, nella misura in cui non ritengono che un modello possa rappresentare la realtà in sé. La verità non è il fine della scienza, la quale funziona semmai al contrario, e cioè cercando di chiarire quali siano i limiti dei modelli preesistenti e dando adito alla proposta di modelli più adeguati a far fronte alle lacune gnoseologiche.
L’articolo da cui ha preso spunto Epstein è stato pubblicato sulla rivista Science con un titolo molto repulsivo per le masse: «Chemokine Gene Silencing in Decidual Stromal Cells Limits T Cell Access to the Maternal-Fetal Interface». L’articolo di Science non spiega perché sia miracoloso che il corpo d’una donna incinta non distrugge il suo feto: mette in rilievo alcune scoperte sui meccanismi di risposta immunitaria dei linfociti T nella placenta, sperimentati sui topi. È allora inutile e fuorviante l’articolo di Epstein su Slate? Direi proprio di no: invoglia, col suo titolo provocatorio, ad avvicinarsi alla scienza, costruendo sì mitologie della vita quotidiana, ma indicando le fonti originali da cui prende spunto.
L’articolo di Slate: http://slate.me/QJWJBZ
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