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Schiaffi in faccia al futuro

Gennaio 04
02:00 2008

Nei corridoi di una scuola pavese, una studentessa ha preso a schiaffi il docente, ma soprattutto lo ha ridicolizzato, denudando il malcapitato della sua autorevolezza. Bullismo? Atti di vandalismo mentale? No, più semplicemente è il risultato di un’abitudine alla trasgressione, una specie di attitudine a mandare in pensione la prudenza, che invece serve a individuare il pericolo celato dietro l’angolo camuffato a rettilineo, con la negazione dei propri limiti, optando volontariamente per una vocazione di maledetto per forza. La ragazza è stata sospesa per quindici giorni, il fattaccio denunciato alle autorità competenti. Eppure l’impressione che se ne ricava, è che una nuova medaglia al valore sia stata appuntata al petto di una amazzone iraconda. A parte l’autocelebrazione connotata dalla gestualità della allieva, quanto accaduto è lo specchio e il riflesso di tratti caratteristici della realtà sociale in cui prendono vita. Sarà una ripetizione, una indicazione noiosa, ma c’è un processo di atomizzazione-disgregazione, che inizia da lontano, da mamme indaffarate a procurare il migliore paradiso in terra per le loro creature, da opulenze monetarie famigliari, da deresponsabilizzazioni che consentono il fiorire di ruoli non ben definiti, insufficienti ad arginare una deriva dell’autorità, intesa come credito per l’autorevolezza, che costruisce in ogni ambito il “futuro possibile “. Forse non è il caso di omologare la studentessa in questione con il dilagare del bullismo di periferia, piuttosto bisogna riconoscere in questa fisicità violenta e prevaricante, una difficoltà adolescenziale, un disagio relazionale, che non è ancora devianza, ma deve richiamare attenzione e rigore, per tenere in considerazione l’influenza del contesto sociale senza dubbio conflittuale da cui proviene. Qui c’è una ragazza difficile da accogliere, al di là dei guantoni da boxe ancora da acquistare, una giovanissima da ricondurre al centro di un ring ideale dove esistono regole e rispetto per l’altro. Il disagio attraversa i più giovani in maniera discordante, non mantiene una scia riconoscibile, è figlio di una insoddisfazione che non trova risposte adeguate, nella sequela di distrazioni e regalie disorientanti da parte del mondo genitoriale-educativo. Questo accadimento, se non può esser ascritto al fattore bulling, è invece disabitudine alla fatica dell’impegno. Infatti, se da una parte si moltiplicano i comportamenti estremistici in cui valore-disvalore viene condiviso con la propria tribù, dall’altra parte esiste una condizione ben consolidata, che fa riferimento allo sbalordimento, alla stupefazione, come arma di difesa, per proteggere il proprio sistema pedagogico dalle rigidità didattiche. Così i giovani si buttano via senza l’orgoglio di una passione, mentre i più grandi dalle cattedre professorali preferiscono sopravvivere, perdendo inesorabilmente terreno per una riconoscibile, e soprattutto riconosciuta autorevolezza, che non consente vantaggi alla violenza, tanto meno di perpetrarla impunemente.

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