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Santiago, Italia di Nanni Moretti: i cileni e lo spirito solidale italiano oggi ‘appannato’

Santiago, Italia di Nanni Moretti: i cileni e lo spirito solidale italiano oggi ‘appannato’
Febbraio 17
17:55 2019

(Serena Grizi) Frascati – Mercoledì 13 febbraio il regista Nanni Moretti ha presentato al cinema Politeama il suo documentario Santiago, Italia, sul dopo golpe cileno perpetrato dai militari che destituirono il presidente Allende, scelto con elezioni democratiche, e instaurarono la dittatura del generale Pinochet, macchiatosi di crimini contro l’umanità, durata fino al 1990.

Era l’11 settembre del 1973 e la storia raccontata dai ragazzi di allora che subito dopo il golpe trovarono rifugio nell’ambasciata Italiana coordinata da giovani funzionari, restituisce l’immagine di una gioventù cui è stato sottratto un sogno di uguaglianza e d’una Italia aperta, per niente impaurita seppur ben conscia del grave momento politico attraversato; un Paese che non ebbe bisogno di riflettere neppure un secondo sulla necessità di dare asilo, sostegno, talvolta amicizia vera e lavoro, una nuova patria ai cileni fuggiaschi dal regime, alcuni in pericolo di vita o già torturati in luoghi nascosti alla ufficialità, istituiti dalla dittatura militare. Moretti narra col suo ‘solito’ stile, comparendo tra le poltrone della platea e cominciando ad illustrare il suo progetto di film-documentario procedendo per esclusioni e battute: «Ho cominciato a raccogliere materiale per questo documentario in Cile in occasione d’un viaggio con mio figlio, non sapendo bene, all’inizio, cosa mi spingesse a farlo. Ed ho sentito da subito il bisogno che nel raccontare questa storia ci fossero anche “i cattivi”, i malos, per cercare di capire come dei militari potessero spiegare le atrocità che avevano commesso. Ho chiesto alla mia produttrice cilena di mettermi in contatto con loro: uno l’ho intervistato tranquillamente a casa sua perché anche se ha partecipato al colpo di stato ed è stato quarant’anni militare (coprendo abbondantemente tutto il periodo della dittatura di Pinochet, n.d.r.) non è mai stato accusato di nulla; invece un altro l’ho intervistato in un carcere, ma un carcere un po‘ privilegiato, dove ci sono pochi condannati per le atrocità della giunta militare. Non volevo apparire in prima persona come fa il regista Michael Moore (Bowling a Columbine, Fahrenheit 9/11), che nei suoi documentari entra in scena col suo ‘corpaccione’ occupando ‘militarmente’ il fotogramma, io non volevo fare una scelta di questo tipo ma volevo che parlassero le persone testimoni di quella vicenda come la giornalista che allora aveva sette anni e ricorda benissimo il suo 11 settembre (vide gli aerei che passavano per bombardare il Palazzo Presidenziale e lei e il fratellino li salutavano, poi la madre in fretta e furia li tirò dentro casa e cominciò a bruciare, piangendo, tutti i libri che aveva nella sua libreria, si commuove parlando n.d.r.). Volevo raccontare, con rispetto parlando, senza l’aiuto di esperti, storici, studiosi ma volevo che testimoniasse la gente che ha vissuto sulla propria pelle quella esperienza, facendo per questo una scelta di stile molto semplice: persone inquadrate in primo piano che parlano e, vedrete, a volte faticano nel racconto perché è una ferita che brucia talmente tanto ancora, dopo 45 anni, e per la commozione molti non riescono ad andare a vanti. La chiesa (non so come dire in questo paese e di questi tempi) fa un ‘bella figura’ in questa storia, perché si mise dalla parte dei perseguitati: purtroppo questa (affermazione) non è la premessa per una mia futura conversione religiosa, resto ateo, ma non mi diverte nemmeno quella frase di Luis Buñuel, che si scrive anche sulle t- shirt, “Grazie a Dio sono ateo”, no io sono molto incavolato di esserlo, però purtroppo non ho avuto questo dono (della fede n.d.r.)».

Il ricordo da bambina di chi scrive è che, pur non sapendo bene perché si facessero tanto spesso incontri con la cultura cilena fra dibattiti, letture e musica, questi ‘ospiti’, o nuovi cittadini, erano diventati ‘di casa’: si trattava di gente comune, in parte come quella che appare in Santiago, Italia, oppure musicisti come gli Inti Illimani spesso ospiti a Genzano, e poi la scoperta di molti scrittori e poeti entrati a far parte del ‘pantheon letterario’ internazionale tra cui ricordiamo L. Sepulveda, A. Jodorowsky, P. Neruda, Marcela Serrano, F. Coloane, A. Skarmeta. Di tutti gli interventi, degli esuli, dei resistenti, colpisce una generale ‘purezza’ di fondo, rintracciabile ancora oggi negli occhi, nelle parole, che non poteva non coltivare un ideale di eguaglianza e giustizia. Dei militari colpisce la loro convinzione d’aver fatto bene: i due intervistati rispondono a testa alta al regista, ma il secondo s’aspetta un giudizio del tutto imparziale, a proprio favore, sulla vicenda; in quel momento Moretti riappare nel film rivendicando la propria impossibilità ad essere imparziale davanti alla tortura, alle uccisioni, alle sparizioni, al dolore allargatosi sul Cile tutto.

«Quando ho iniziato a girare questo film – continua Nanni Moretti – la situazione politico- sociale in Italia era un po’ diversa, ecco, poi ha preso una ‘certa piega’; sono contento di mostrare oggi questo documentario su una bella storia di accoglienza quando invece purtroppo un gran pezzo della società italiana ha preso la direzione contraria ai valori dell’accoglienza, della solidarietà, della curiosità anche, o compassione verso gli altri. Volevo raccontare con molta semplicità una storia umana: viviamo tempi talmente strani che raccontare una storia umana diventa un forte gesto politico. Ma va bene, mi sta bene!» Immagine web

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