“Roma ore 11”
Pregustando la nuova stagione teatrale, che per la verità si presenta assai succulenta, varrà la pena di spendere ancora qualche parola per quella trascorsa, ricordando Roma ore 11, lo spettacolo presentato in chiusura al Teatro Valle dagli Artisti Riuniti, diretto e interpretato da Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres su testo di Elio Petri. Testo nato in realtà non per una destinazione teatrale, ma come canovaccio per il film-inchiesta realizzato con De Santis nel 1951 da un giovanissimo Petri, già critico cinematografico per L’Unità ma ancora agli esordi sul campo. Di Elio Petri, scomparso nel 1982 a soli 53 anni, molti certamente ricorderanno i lavori più riusciti, quelli ispirati alle storie di mafia di Sciascia (A ciascuno il suo del 1967 o Todo modo del 1976) e la trilogia sul potere: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, del 1970, La classe operaia va in Paradiso del 1971 fino a La proprietà non è più un furto del 1973. Già da questa filmografia essenziale non è difficile rendersi conto di come questo regista abbia inteso denunciare in tutta la sua opera limiti e distorsioni del potere e del suo esercizio da parte di una classe dominante, quella borghese, rappresentata come ottusamente conservatrice, arroccata nella difesa dei propri privilegi e della propria immagine, e spesso collusa con la malavita vera e propria. La sua vocazione per un cinema di denuncia e impegno civile è già manifesta in questa prima opera, che le autrici e interpreti dell’edizione teatrale hanno voluto recuperare con l’intenzione di “fare davvero un lavoro in comune”, senza un “capo”, su di un testo che parlasse “di un femminile diverso dai soliti ruoli madre-amante-moglie” rendendo anche un doveroso “omaggio a Elio Petri, grande regista del nostro cinema migliore, che pare essere già dimenticato”. E di fatto oggi, nella distanza prospettica che la morte conferisce all’opera di grandi registi come Bergman e Antonioni, piuttosto portati a declinare la parabola del disagio esistenziale in termini di ampio respiro metaforico, e in certo senso ‘filosofico’, l’ispirazione di Petri e la sua volontà di ‘zoomare’ su una specifica ‘fetta’ di realtà, sulla ‘tranche de vie’ di ispirazione neorealistica, in un cinema ‘a tesi’ potrebbe apparire irrimediabilmente datata, ancorata a quegli anni Settanta, ‘anni di piombo’, in cui la forte passione civile, di parte, di molti intellettuali rappresentava anche il presupposto e la chiave della loro affermazione. Tanto più meritorio, allora, il lavoro ‘filologico’ delle quattro autrici che, prendendo le distanze da quell’epoca precisa e, per quanto sopra detto, ‘sospetta’, va a recuperare invece un testo fresco e spontaneo, prodotto a caldo sulla spinta emozionale di un evento che aveva fortemente toccato la sensibilità popolare: il crollo di una scala in un villino di Via Savoia a Roma, dove, il 15 gennaio 1951, 77 giovani donne si accalcavano per partecipare alla selezione per un unico posto di dattilografa.
Da questa vicenda prendeva avvio l’indagine condotta da Petri per conto del regista De Santis al fine di denunciare in chiave neorealistica la miseria, la debolezza economica (fattore spesso anche di soggezione sessuale) e morale di fronte al potere, sullo sfondo di una realtà urbana in forte espansione (l’immagine dei ‘palazzoni’ in costruzione nelle aree periferiche).
In questo quadro le voci delle ragazze vittime dell’incidente (all’epoca diligentemente raccolte da Petri) sono state reinterpretate e drammatizzate, dando luogo sulla scena ad un affresco corale fatto di speranze, paure, aspettative di giovani donne in un’Italia da poco uscita dalla guerra, pronta anche, attraverso l’adesione al Patto Atlantico, a legare il proprio carro alla forza trainante degli Stati Uniti, e a tentare il grande salto da ‘Italietta’ agricola e provinciale allo status e alla dignità di ‘potenza’ industriale. Senza però aver ancora perso, di quella, l’ingenuità e le speranze che costituivano di fatto la cifra degli anni Cinquanta, anni con cui ultimamente ha civettato anche la produzione televisiva, che, nel giro di pochi mesi, dalla fiction “Raccontami” a “Le ragazze di San Frediano”, ne ha voluto riproporre l’atmosfera. Chissà perché.
Nostalgia forse di un mondo di individui e di valori, di ‘sentimenti’ e di ‘pagine’, di fronte ad un presente di ‘sensazioni’ e di ‘veline’?
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