Roma. Il PCI chiama alla manifestazione del 22 a Roma
Roma. Il PCI chiama alla manifestazione del 22 a Roma, denuncia contro G20 e Governo i nuovi tagli alla sanità!
“Il 21 e 22 ci saranno uno sciopero nazionale contro i tagli alla sanità del G20 e del Governo (indicati dalla UE), ed una manifestazione a Roma. Il PCI è tra i promotori con tutte le motivazioni economico-sociali e per le politiche supine alle logiche UE e al neoatlantismo. In particolare, il Comitato Regionale del PCI Lazio – spiega Sonia Pecorilli, della segreteria – denuncia che smentendo tutte le pie intenzioni annunciate all’inizio e nella massima tragedia della pandemia, ora, come fosse scoppiata una bolla di sapone, si torna “a prima”. Tagli alla sanità pubblica, sostegno alle privatizzazioni. E’ una vergogna! E’ sostanziale ed evidente la disgregazione del Sistema Sanitario Nazionale in questa fase pandemica da COVID-19, se durante le varie fasi siamo riusciti ad ottimizzare le risorse in ogni ambito nonostante i tanti contagi ed i tanti morti, in questa attuale fase vaccinale ci troviamo di fronte ad una cruda realtà, 10 anni di smembramento del SSN hanno procurato un disastro sanitario, colpevoli e, concedetemelo, di aver agevolato il sistema sanitario privato lasciando morire un sistema che collettivamente è sempre stato denominato Assistenza Sanitaria Universale e che rappresenta un sistema di assistenza sanitaria in cui a tutti i residenti di un determinato paese o regione è garantito l’accesso all’assistenza sanitaria, generalmente organizzata in modo tale da fornire i servizi sanitari, con l’obiettivo finale di migliorare i risultati sanitari. L’assistenza sanitaria è la nostra più grande industria (vedi industrie farmaceutiche e vaccini in questa fase storica del nostro paese), quindi considerata solo una componente finanziaria ma che è necessariamente socializzata. L’assistenza sanitaria – continua la dirigente comunista – è stata a lungo una delle questioni più contestate politicamente. La lotta sulla riforma sanitaria è stata forse la questione più acuta della politica nazionale, esemplificata oggi da un totale fallimento. Purtroppo anche in questo ambito, così come in altri riguardanti la salute, l’obiettivo principale risulta il risparmio sulla prestazione anziché la salute della popolazione trascurando la possibilità di disporre di un servizio professionale, corretto e legale. Chi pensava che la pandemia avrebbe portato a riconoscere la tutela della salute e la spesa sanitaria come prezioso investimento e non come una spesa da abbattere, non troverà risposta . Si ritorna quindi alla gestione e al finanziamento del SSN prima della pandemia. Nel triennio 2022-2024 il DEF del mese scorso certifica che la spesa sanitaria dovrà essere portata al 6,3% del PIL, un punto in meno rispetto a quella attuale, confermando la previsione di spesa fatta nel 2019 e questo, di fatto, va a significare che le maggiori spese per il personale sanitario, comunque in gran parte precario, per l’aumento dei posti letto e per la diagnostica legata al Covid, sostenute per affrontare la pandemia non saranno consolidate e l’Italia tornerà ad avere una spesa sanitaria inferiore alla media UE e drammaticamente inferiore a quella di nazioni avanzate quali, a esempio, Francia e Germania. Per la salute della popolazione e della sanità in generale, non ci sarà un lieto fine è chiaro anche dall’analisi del PNRR che destina alla Sanità, a fronte dei tagli che hanno decimato ospedali, posti letto e personale, le risorse più basse cioè il successo degli investimenti e delle iniziative collegati alle riforme non è garantito. Risorse che sono destinate in gran parte alla digitalizzazione, alla telemedicina e all’aggiornamento tecnologico, mentre quanto stanziato per il rafforzamento dei servizi domiciliari con l’infermiere di famiglia/comunità figura che l’OMS ha già descritto e introdotto fin dal 2000 ma che nel nostro paese per ora è solo ufficiale sulla carta, e non attuata ovunque, nelle regioni tale ruolo è a pieno regime (poche per il momento quasi tutte in benchmark, e in molte ancora in fase di sperimentazione) i cittadini avrebbero un punto di riferimento preciso nel territorio per qualsiasi necessità assistenziale, e dei servizi territoriali attraverso le centrali operative territoriali e le case della salute, di fatto gli attuali distretti di base, rappresenta una esclusiva prerogativa del terzo settore e il privato convenzionato. Verrà depotenziata la sanità pubblica, – denuncia con forza Pecorilli – oggi ci troviamo di fronte a un quadro nel quale, in assenza di qualsiasi ipotesi di assunzione di personale sanitario, tutti i servizi saranno appaltati e dati in gestione proseguendo così nella privatizzazione della sanità che, come verificato ampiamente durante l’emergenza Covid, così tante conseguenze ha provocato nelle regioni nelle quali il processo è più avanzato. Oggi servono proposte per la sanità e per i suoi lavoratori a tutela della popolazione. Una sanità pubblica, quella italiana, che malgrado la grave pandemia in atto e le tante criticità emerse in conseguenza dei tagli operati da tutti i governi, non sarà oggetto di investimenti strutturali, nemmeno con i soldi del Recovery Fund. Sarà una sanità gestita secondo la logica del profitto e non della salute. Necessitano e ribadiamo NECESSITANO, figure fondamentali che toccano aspetti fondamentali nella cura del paziente quali la prevenzione, l’educazione, la riabilitazione e la palliazione, Con il passare del tempo il diffuso malcostume ha depauperato e snaturato la figura del personale sanitario creando una (falsa) credenza circa le reali competenze e il correlato riconoscimento economico. Il riconoscimento economico diventa così un ostacolo enorme proprio perchè non ufficialmente riconosciuto come diritto ne da parte delle istituzioni ne da parte dei fruitori. Serve un’integrazione degli organici dei medici, infermieri e di tutto il personale del comparto sanità ormai all’osso, durante tutta questa fase della pandemia per carenze organiche e blocco delle ferie sono stati svolti turni anche oltre le 12 ore disapplicando la Direttiva Europea sull’orario di lavoro Legge 161 del 2014. Se da una parte la Direttiva Europea rappresenta una tappa fondamentale del modello sociale europeo, poiché assicura una protezione minima a tutti i lavoratori contro orari di lavoro eccessivi, di contro ci troviamo al mancato rispetto di periodi minimi di riposo, negando di fatto illegittimamente il diritto ad un orario di lavoro adeguato, si prefigura quindi un denuncia alla Corte di Giustizia per danno non solo patrimoniale collegato alle ore di lavoro in più svolte illegittimamente, ma anche come danno biologico e non patrimoniale, per usura da stress psicofisico conseguente all’eccessivo lavoro e agli ingiusti sacrifici imposti/richiesti al lavoratore. Oggi – indica con precisione la dirigente professionale del PCI – la fotografia reale ci dice che abbiamo bisogno di modifiche legislative necessarie per definire un contratto che risponda realmente ai problemi evidenziati negli ultimi dieci anni: Maggior peso alla contrattazione collettiva e integrativa recuperando il pieno confronto su materie relative all’orario di lavoro, all’organizzazione lavorativa, al rapporto di lavoro, alla definizione dei profili professionali; Diritto di carriera riconosciuto a tutti; Piena contrattualizzazione del lavoro agile; Abrogazione della norma che fissa un tetto alla composizione dei Fondi di amministrazione e incremento dei Fondi stessi; Snellimento delle procedure di certificazione dei contratti. Fortemente, il Partito Comunista Italiano denuncia quanto sopra e dichiara che la vera arma per combattere una emergenza sanitaria è e rimane l’investimento su un Modello Sanitario Single – Payer ossia un sistema più economico, sostenibile, trasparente e che dia migliori risultati sanitari. Il PCI sempre dalla parte dei lavoratori, dalla parte dei pazienti, dalla parte del popolo.”.
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