Roma, gli artisti ed altri viaggiatori – 3
Tra i tanti e tanti viaggiatori del Grand Tour del ‘700, ‘800 Wolfgang Goethe è stato in assoluto il più innamorato e conquistato dalla città, dalla sua classicità, dalle sue abitudini e dai suoi abitanti. Il suo viaggio in Italia dura due anni con tappe a Venezia, Roma, Sicilia ed ancora Roma. Tutti i viaggiatori che scendevano dall’Europa arrivavano attraverso l’antica via Francigena (percorsi delle antiche consolari Cassia e Flaminia) e quindi entravano dalla Porta del Popolo, antica porta delle mura Aureliane che immetteva in piazza del Popolo con l’obelisco egizio al suo centro, le chiese gemelle sullo sfondo a dirimere il ‘tridente’ di Ripetta – Corso – Babuino, vie attraverso le quali ci si inoltrava, ancor più significativamente di oggi nella città.
Goethe arriva a Roma il 29 ottobre 1786, nessuno lo attende giacché viaggia in incognito, Filippo Miller, pittore tedesco di trentadue anni i suoi dati per il viaggio: «…Io osavo appena dire a me stesso dove ero diretto, e persino lungo la via temevo ancora di non toccare la meta; soltanto sotto la porta del Popolo sono stato certo di aver raggiunto Roma!… Tutti i sogni della mia giovinezza li vedo ora vivi dinanzi a me… Sì sono finalmente arrivato in questa capitale del mondo! Il mio desiderio di arrivare a Roma era così intenso ed aumentava ad ogni momento del mio viaggio, al punto che non mi era possibile arrestarmi. Ora vedo vivere tutti i sogni della gioventù. Le prime incisioni di cui mi ricordo, le vedute di Roma che mio padre aveva situato in un’antisala (di casa) ora le vedo nella loro realtà». Goethe alloggia al suo arrivo alla locanda dell’Orso al rione Ponte, dove pare che in tempi lontani avessero già alloggiato Dante, Rabelais e Montaigne, qui però incontra il connazionale Johann Tischbein, pittore che subito lo ospita nella sua casa al Corso (oggi al n°18): «Mi sono installato presso il Tischbein, così ho finalmente pace da ogni albergo e dalla vita di viaggio». Agli amici tedeschi Goethe può ora comunicare il suo indirizzo romano: «Al sig. Tischbein, pittore tedesco, al Corso, incontro al Palazzo Rondanini, Roma». Goethe e Tischibein non si conoscevano personalmente ma erano stati in contatto epistolare attraverso un comune amico. Commentando la sua sistemazione presso l’amico scrive: «È una fortuna per me che Tischbein abbia un bell’appartamento in cui vive insieme ad altri pittori. Abito insieme a lui e mi sono inserito nel loro menage, e così godo la quiete e la pace domestica in terra straniera. I padroni di casa sono un’anziana coppia, gente per bene che fa tutto da sé e ci tratta come figli. Ieri si disperarono vedendo che non mangiavo la minestra di cipolle e avrebbero voluto preparare subito un’altra cosa… La casa si trova sul Corso, a meno di trecento passi da Porta del Popolo». Ad inverno inoltrato però anche a Roma i disagi si fanno subito sentire. 13 gennaio 1787: «…fa freddo e dovunque si sta meglio che in camera ove, per la mancanza d’un camino o d’una stufa, ci si ritira solo per dormire o per starci male». Ma anche i geni hanno senso pratico, ed ecco trovato allora l’espediente risolutore: «Mi sono stabilito nell’anticamera, presso il camino e questa volta il calore d’un fuoco ben nutrito mi dà il coraggio di prendere un nuovo foglio». La città a lungo sognata ha comunque facile conquista su un animo da tanto tempo ben predisposto dal desiderio di vederla: «… il Pantheon, l’Apollo di Belvedere, alcune teste colossali e, ultimamente, la Cappella Sistina si sono talmente impossessati del mio animo che non vedevo quasi più nulla. Ma come si può, piccoli come siamo e abituati alle cose piccine, mettersi alla pari di tanta nobiltà, immensità e perfezione?» Le prime visite sono per le antichità romane: le Terme di Caracalla, i sepolcri della via Appia Antica, la tomba di Cecilia Metella a proposito della quale scrive: «Bisogna vederla se si vuole avere un’idea di una costruzione solida. Questa gente lavorava per l’eternità e di tutto tenne conto fuorché della follia dei devastatori, alla quale tutto cede». All’amico Knebel scrive il 17 novembre 1786, due settimane dopo il suo arrivo a Roma: «Acquedotti, terme, teatri, anfiteatri, circhi, templi! E poi i palazzi imperiali, i sepolcri dei Grandi. Con queste immagini ho nutrito e rinfrancato il mio spirito». Entusiasmo a piene mani riportato poi ad esempio nelle Elegie romane: «Ditemi, o pietre! Parlatemi, eccelsi palagi! / Date una voce, o vie! Né tu ti scuoti, o genio? / Sì, qui un’anima ha tutto, fra queste divine tue mura, / eterna Roma!…/ Almo sole, tu indugi e la tua Roma ammiri./ Mai nulla di più grande vedesti, mai nulla vedrai».
1 Brani tratti da Viaggio in Italia – pubbl. 1816 e 1817
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