Roma, gli artisti ed altri viaggiatori – 2/5
Restiamo sempre in via Bocca di Leone, storica via del cosiddetto tridente, e traversa di via dei Condotti, via Frattina e via Borgognona oggi cuore pulsante del commercio più esclusivo. Qui esisteva, ed esiste tuttora, l’Hotel d’Inghilterra. Sulla sua facciata c’è la lapide a ricordo che «Henryk Sienkiewicz / scrittore e patriota polacco / epico narratore delle eroiche gesta / autore del romanzo ‘Quo vadis’ / premio Nobel per la letteratura / dimorò in questo albergo nell’anno 1893.» Infatti, da una sua lettera:
«Ieri sono arrivato qui, il tempo fa molto freddo. Folla. Un gran numero di polacchi. Negli alberghi non ci sono posti. L’Hotel d’Angleterre è buono, caro (15 franchi). Il proprietario conosceva il mio nome e solo per questo ha tirato fuori una stanza (pour une célébrité)… Roma eccezionalmente fredda. Forse migliorerà. Ora mi fa male la gola.» Sienkievickz era già stato a Roma nel 1879 presso una casa privata. Alcuni anni dopo racconterà: «Questi ricordi romani mi sono rimasti a lungo nella memoria. I marmi, le statue, le rovine, le opere, le gite fuori città alle catacombe o alle ville vicine, le azzurre vedute della campagna romana tagliate dalle linee degli acquedotti, tutto questo se una volta ci fa eco nel cervello, s’imprime in esso per sempre.» Tornerà ancora a Roma numerose altre volte ed alloggerà in alberghi diversi (l’Oriente in via del Tritone, Hotel in piazza della Minerva, al Roma in via del Corso, ancora all’Angleterre), e Roma lo accompagnerà sempre nella sua attività letteraria e giornalistica fino alla fine: l’ultima pagina del suo romanzo incompiuto (Le legioni del 1915) si chiude con la visione della cupola di San Pietro. Ed ancora ricorda che Quo vadis?, senza dogma, e la famiglia Polaniecki si chiamano “La triade romana” in quanto in essi dominano le ispirazioni romane, l’azione si svolge a Roma o l’autore vi ci conduce i protagonisti. Certamente quindi un innamorato appassionato e sincero della città. Grande frequentatore dell’annesso ristorante è anche Ivan Sergeeviè Turgenev, autore del romanzo Padri e figli, uno dei capolavori della narrativa del XIX secolo: «Noi pranzavamo ogni giorno all’Hotel d’Angleterre a table d’hòte… Roma è tutta una meraviglia… In nessun’ altra città voi non proverete costantemente questo sentimento, che tutto ciò che è Grande, Bello, Importante è vicino, sotto mano, vi circonda in ogni istante e che, di conseguenza, voi avete la possibilità in qualsiasi momento di entrare nel Sancta Sanctorum.» Turgenev visiterà due volte Roma. Arriverà una prima volta nell’anno 1840 e vi resterà per due mesi frequentando soprattutto il circolo di Nikolaj Stankevic, giovane filosofo russo già conosciuto a Berlino. Nella casa di questi in via del Corso era solito la sera riunirsi un piccolo gruppo di giovani letterati russi che spesso insieme trasmigravano al Caffè Greco. Tornò poi a Roma nel 1857 in un periodo di profonda crisi creativa che sperava di risolvere ricercando qui le atmosfere del periodo giovanile ed alloggiò proprio all’Hotel d’Angleterre. A Roma non si poteva non lavorare e se nemmeno a Roma avrebbe concluso qualcosa meditava di abbandonare la carriera di scrittore. Dopo le prime settimane di permanenza, durante le quali si lasciò ammaliare dal clima e dalla vita romana, intrecciando molte nuove conoscenze e frequentando le residenze dei principi Cerkassij e Oboleskij, Turgenev si scrollò di dosso l’apatia creativa che lo aveva pervaso da tempo e riprese infatti a scrivere. Sempre in questo albergo resta per tre mesi del 1861 Luise Colet (legata tempestosamente per otto anni a Flaubert e poi ad Alfred de Musset, entrambi impietosamente da lei riportati in due suoi romanzi): «Un magnifico salice piangente, che fa ombra ad una fontana costituita da un sarcofago antico, abbellisce la facciata. La tranquillità della strada, la pulizia squisita dell’alloggio mi conquistano subito… Eccomi sistemata in un’elegante stanzetta di quest’albergo, il migliore e più confortevole fra quelli dove ho sostato durante i miei viaggi.» Qui a Roma Luise Colet ebbe modo di incontrare una delle amiche più intime di Garibaldi, quell’Elpis Melena (pseudonimo che la scrittrice di origini amburghesi Marie Espérance von Schwartz adottava proprio in quell’anno) cui un paio d’anni prima Garibaldi aveva fatto una proposta di matrimonio. Proprio qui nella culla della cristianità scrisse Les derniers abbés, libro in cui si scagliava contro la casta dei preti. Quando la polizia pontificia le fece sequestrare il volume, lamentò l’accaduto scrivendo all’amico a Caprera, ricevendo in francese il conforto dell’amico, addolorato per l’accaduto, di cui erano responsabili, si legge nella risposta, «i gladiatori della menzogna, vera peste del nostro paese disgraziato.»
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