Rocca di Papa: Il Vallone Arcioni e dintorni a cura della Dott.ssa Rosa De Santis
Molto interessante la conferenza svoltasi nel pomeriggio del 12 luglio nella sede del Museo di Geoscienze di Rocca di Papa alla presenza delle Autorità cittadine e di un numeroso, interessato pubblico: introdotta dalla scrittrice Maria Pia Santangeli, la dott.ssa Rosa De Santis, autrice dell’interessante tesi di laurea “ Contributo per una carta archeologica di Rocca di Papa – Il Vallone Arcioni e i suoi dintorni”, ha illustrato la sua interessante ricerca archeologica su un luogo ricco di storia e di approfondimenti tutti da analizzare.
Situata a poco più di un chilometro dallo scosceso dirupo di Pentima Stalla nel quale scorrevano acque provenienti dai Campi di Annibale, nella Valle degli Arcioni sono presenti ancora oggi – purtroppo in pessimo stato di conservazione – i resti di un antico acquedotto, interamente avvolto da vegetazione rampicante – struttura costituita da undici arcate che poggiano su dieci piloni e due strutture terminali. Privi di rivestimento originale, spiega la relatrice, ogni analisi strutturale e cronologica è stata basata su dati frammentari disponibili.
Dominio della famiglia Colonna ( durato circa quattrocento anni ), il territorio di Rocca di Papa è passato da un’iniziale economia agricola a quella boschiva del castagno: un’area ricca di acque provenienti dalla zona a monte, incanalatesi nelle strutture vulcaniche come le Pentime Peschi, Ortagia e Focicchia che scaricavano le acque nella Valle Oscura. A Pentima Stalla era presente una fonte sorgiva, il Pantanello, purtroppo scomparsa e la struttura morfologica del territorio ha risentito dello sversamento di rifiuti e scarichi edilizi.
Stiamo parlando, precisa la dott.ssa De Santis, di un’area archeologica risalente all’Età del Ferro, nella quale sono stati ritrovati oltre antichi reperti di ceramica e di argilla, tratti di basolato romano, un luogo questo che conserva resti di antiche ville assorbite dalla folta vegetazione boschiva, zona ricca di canali, cunicoli e cisterne.
Mostrata nelle interessanti diapositive che hanno illustrato la conferenza, anche l’immagine di una statua femminile – Artemide Colonna – riportata alla luce nel 1793 durante uno scavo autorizzato dalla famiglia Colonna e oggi conservata a Berlino presso l’Altes Museum. Interessante l’approfondimento della De Santis sui cinque Cippi dell’Aqua Augusta, sui quali sono incise sigle e cifre romane: scoperti nel bosco sottostante i Campi di Annibale durante alcuni tagli boschivi e studiati nel 1872 dall’archeologo Giovan Battista De Rossi (fratello del sismologo Michele Stefano) tali reperti dell’Aqua Augusta risultano attualmente dispersi: in tufo locale, posti come confini o margini lungo il corso degli acquedotti, il De Rossi associandoli a una sorgente, incentrò la sua attenzione sulla fonte posta in località Pentima Stalla, dove convogliavano, come già accennato, anche acque provenienti dai Campi di Annibale. Se ne occuparono successivamente anche gli archeologi Rodolfo Lanciani, Giuseppe Lugli e Luigi Canina, postulando che l’Acqua Augusta fosse diretta verso Albano, passando per Palazzola – dove il Lanciani ipotizza alimentasse la villa di Augusto – , collegandosi ad altri bacini – i Cisternoni – in un’area dove saranno costruiti i Castra Albana di Settimio Severo.
Nel corso della sua ricerca archeologica la dott.ssa De Santis, analizzando le tecniche e le caratteristiche strutturali degli Arcioni e operando un confronto con edifici presenti nel Lazio e nella Campania, fa risalire l’opera romana presente a Rocca di Papa all’inizio del III secolo d.C.
Realizzate durante il suo studio due carte nelle quali illustra e paragona le varie ipotesi degli studiosi che nel tempo si sono occupati dell’acquedotto degli Arcioni, ipotizzando anche strategie adattate a un collegamento che permettesse all’acqua di defluire tra le diverse quote altimetrice di Palazzola e dell’Acquedotto stesso: un sistema idraulico con un principio simile a quello dei vasi comunicanti, detto sifone rovescio che ovviava alla necessità di una conduttura “in salita”.
Altra ipotesi alternativa – spiega la De Santis -, che l’acquedotto convogliasse l’acqua in una zona poco distante, detta Grotte dell’Acqua dove era presente un’ampia costruzione, probabile cisterna.
Il dipinto di un’incontaminata Valle degli Arcioni realizzato nel 1862 da Helmut Hottenroth, segnalatole da Carlo Guarinoni chiude l’interessante incontro con un significativo ringraziamento della relatrice a tutti coloro che le sono stati vicini e hanno offerto preziosi contributi alla ricerca storica, archeologica, geologica. Citati nella sua tesi di laurea corredata di un’approfondita bibliografia Francesco Casciotti, Cinzia Barbante, Carlo Cofini, Claudio Santangeli, Franco Arietti, Carlo Guarinoni – il Relatore Professor Marco Fabbri e il correlatore Dott.ssa Claudia Tozzi.
Un lavoro di ricerca terminato durante la pandemia, meritatamente valutato con il massimo punteggio e la lode: conclude Rosa, ringraziando tutti i presenti, un lavoro che apre ad altri approfondimenti, ma soprattutto che alimenta sempre più la consapevolezza che il nostro territorio vada sempre più riscoperto, valorizzato e rispettato con l’obiettivo di tramandare alle future generazioni l’orgoglio d’una comunità coesa e impegnata al recupero della storia, dell’ambiente e del rispetto della natura.
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