Rocca di Papa: Giosué Carducci e il vino dei Castelli Romani a cura di M. Pia Santangeli
Che Giosué Carducci faccia parte delle nostre prime commozioni, con la sua Pianto antico studiata a memoria durante gli anni della scuola elementare è – credo – comune esperienza per coloro che hanno la mia età. Ho sempre evitato che mio padre piantasse un albero di melograno nel nostro orticello, dicendogli, la prima volta che lo propose: – Papà… mi rende malinconica e scaramantica solo il pensiero del verso “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano…”- Mi guardò, papà, con espressione indecifrabile e rinunciò a quei bei fiori vermigli… ma era solo una “finta”: scoprii dopo la sua dipartita, con tanta commozione che quell’albero lo aveva piantato, nascosto dietro una siepe e doloroso fu poi vederlo tagliato da qualcuno che non ebbe neppure il coraggio di chiedere il permesso.
Ho divagato già nell’incipit, ma la bella serata trascorsa ieri 25 ottobre nella Sala conferenze del Parco dei Castelli Romani, durante la quale Maria Pia Santangeli – sotto l’egida dell’Associazione culturale L’Osservatorio – ha presentato la sua iniziativa letteraria dedicata al poeta toscano ha suscitato queste emozioni legate in generale alla figura paterna. Infatti, nella sua interessante conferenza “Giosué Carducci e il vino dei Castelli Romani” la relatrice ha richiamato proprio la sua figura paterna, il papà rocchigiano, classe 1901, che per lungo tempo ha lavorato e soggiornato con la sua famiglia in Toscana: egli amava questo autore ottocentesco, leggeva i suoi libri e declamava le sue poesie quando lei era bambina.
La sua singolare ricerca, che denota l’incredibile e ammirevole versatilità della nostra concittadina tosco-rocchigiana parte proprio dai libri che papà Santangeli ha lasciato nella biblioteca di famiglia e tra le pagine di alcuni, i carteggi epistolari del poeta con diversi interlocutori, tra i quali la moglie Elvira Menicucci e altri amici.
Lette da Lorena Gatta, Mario Giovanetti e Vincenzo Rufini, alcune missive – sottolinea Maria Pia – sono uno specchio della quotidianità ed entrano nell’intimità di chi scrive, svelando al lettore altre profilature del mittente.
La presentazione della figura carducciana, delle sue opere e della sua vita erano sottintese e infatti la Santangeli le ha delineate con la sua solita disinvoltura fatta di semplicità e d’interessante sintesi: l’argomento centrale dell’incontro ha offerto ai presenti piccoli e gustosi siparietti, fatti di curiosità e condivisione.
A Carducci il vino piaceva, come la buona tavola, e la schiettezza sopraffina della relatrice ci porta dai rossi toscani al Lambrusco e la Canina romagnoli degustati nel periodo bolognese durante il quale lo scrittore rivestiva il ruolo di accademico all’Università di Bologna dove insegnava Eloquenza italiana. Periodo in cui, dalle corrispondenze emerge anche l’iniziativa del Carducci di far da solo il vino in casa, come testimonia Giuseppe Chiarini nel 1901, riferendo anche della cantina ben fornita e della generosità del poeta nel condividere con gli amici il gustoso nettare di vite.
Prediligeva il rosso, come già accennato nero e puro, non bianco e con l’acqua bollita…
A Roma, neonata Capitale d’Italia il poeta arriverà nel 1874, tornandovi tre anni dopo come membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione: non riportano le lettere accenni al vino dei Castelli, ma dal 1882 fa riferimento a vini romani e, in una lettera scritta da Adelaide Bergamini, dedicataria delle sue Odi Barbare, viene citato un Tuscolano veramente buono che gusteranno una volta che lei sarà guarita. E ancora, nel 1882 lei accennerà a un vino di Marino, rosso imbottigliato che sarà pronto per essere degustato in Aprile, quando Ella ( cioè il Carducci ) verrà a Roma.
Tuttavia il Lambrusco e i vini toscani resteranno i suoi preferiti, come egli scrive alla moglie nel 1886, aggiungendo che la contessa Lovatelli gli manderà a Bologna due qualità di vino di Presciano e di Argiano e che dal Chiarini acquisterà un barile di vin toscano di Cortona stupendo… per non patir la sete.
Nominato senatore nel 1890, Giosuè Carducci soggiornerà a Roma per lunghi periodi e avrà modo di assaggiare, degustare e apprezzare con la cucina casalinga, il vino dei Castelli, come scriverà ad Annie Vivanti, scrittrice e poetessa, in una lettera nella quale le promette, finita la commedia, di gustare fettuccine, lodole e vino dorato di Albano… per poi bere qualche giorno dopo a Roma, molto di vino delli Castelli.
Un argomento caro a Maria Pia, che ha riscosso interesse dal pubblico presente e accoglienza anche nell’introduzione della Dott.ssa Cinzia Barbante, geologa del Parco dei Castelli Romani, Ente che ha concesso il Patrocinio all’evento, inserito nelle iniziative di Inaugurazione della Sagra delle Castagne giunta alla 44ma edizione.
La conclusione non poteva essere che a tema, con una degustazione di deliziose ciambelle degli sposi innaffiate con buon vino locale, anche a ricordo dei nonni paterni della Santangeli, vinai casalinghi.
Amava il rosso Carducci, ribadisce la nostra relatrice: chissà se un Cesanese di Rocca di Papa, vitigno pregiato quanto raro, sarà stato gustato dal poeta… mi piace pensarlo, ricordando quanto i nostri compaesani con sicurezza affermavano nelle bettole: mejo du rosso, nmi sta, che tu t’o bevi e, visto che po’ refa’ biancu, vor dì che trento quaccosa remane!![1]
[1] Meglio del bianco non c’è, visto che quando “fai bianco”, qualche cosa dentro resta!!
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