Riflessioni sulla “questione romana”
Per valutare la correttezza delle azioni di istituzioni o persone che operarono nel passato, non si può prescindere dal tenere presente il contesto economico-sociale, etico e politico dell’epoca in cui furono adottate, ed anche mi sembra opportuno riflettere se quelle azioni hanno prodotto esiti che, a distanza di anni, possono ritenersi positivi o meno.
Prendendo spunto dalla appena trascorsa ricorrenza del 20 settembre, vorrei brevemente ripercorrere le circostanze che portarono alla fine del potere temporale del Papato, all’annessione di quei territori all’Italia retta dalla monarchia sabauda e di seguito alla proclamazione di Roma Capitale.
L’allocuzione del 29 aprile 1848, con cui il Pontefice Pio IX sanciva l’impossibilità di accettare l’impostazione “nazionale” del movimento liberale che avrebbe annullato il principio di sovranazionalità della Chiesa, deluse profondamente le aspettative di quanti auspicavano una soluzione rapida ed indolore per quella che già da tempo si era profilata come la “questione romana”.
A gennaio del 1849 fu proclamata la Repubblica Romana, accolta con particolare favore per calcoli politici e motivazioni religiose dai protestanti americani come dagli anglicani, convinti che la perdita del potere temporale e la fine dell’assolutismo papale avrebbero avviato una riforma religiosa della Chiesa di Roma, tale da preparare le condizioni per l’unità dei cristiani. Mi corre l’obbligo ricordare la Costituzione della Repubblica Romana, approvata il 3 luglio 1849 dall’Assemblea costituente, come documento sicuramente unico per i suoi tempi, esempio di modernità democratica e tutela dei diritti umani, di cui mi limito a citare la statuizione di libertà di pensiero, di fede religiosa, di insegnamento, l’abolizione della pena di morte (si veda http://www.lareseturbs.it/download/file/80-costituzione-romana-1849.html). Il 4 luglio dello stesso anno la vita della giovane Repubblica fu stroncata dalle truppe francesi, ennesimo episodio di intervento straniero nelle vicende e sulle terre italiane.
L’8 dicembre 1869 Pio IX inaugurò i lavori del Concilio ecumenico Vaticano I che sancì il primato di Pietro e dei suoi successori, nonché l’infallibilità del Romano Pontefice quando parlava “ex cathedra” definendo dottrine concernenti la fede e la morale. Questo dogma contribuì a rinforzare la Chiesa pervasa da forti spinte centrifughe. Inoltre il Vicario di Cristo in terra doveva essere perpetuamente identificato in un solo luogo geografico, Roma, come suggerito dai gesuiti, a conferma della “Romanità Papale” e della supremazia del successore di Pietro, tesi fortemente contestata dai teologi modernisti, fautori di un continuo aggiornamento della Chiesa e del messaggio cristiano.
Ciò contribuì ad acuire da parte delle potenze cattoliche l’atteggiamento di impassibilità, se non di incoraggiamento, per l’annessione di Roma all’Italia. Ai Governi europei, dopo la svolta accentratrice di un Papato che aveva inequivocabilmente precisato la supremazia del Pontefice su tutti gli Episcopati nazionali, era venuta a mancare la possibilità del tradizionale controllo sui rispettivi cleri e, per tale via, sulle masse popolari.
Dopo la disfatta francese del 2 settembre 1870 a Sedan, prevalsero in Italia le sollecitazioni di quanti premevano per acquisire Roma come capitale. Il 19 settembre Pio IX fece l’ultima uscita dalla basilica vaticana per impartire la benedizione alle truppe pontificie disposte innanzi alla Scala Santa, fra ali di un popolo festante, lo stesso popolo che il giorno dopo avrebbe applaudito i bersaglieri della breccia di Porta Pia. Finiva così la monarchia teocratica più longeva della storia, che tagliando in due l’Italia appena unita appariva già allora anacronistica e privava la giovane nazione della sua capitale naturale.
Pio IX non volle lasciare la Città eterna, rendendosi ben conto che un rafforzamento del cattolicesimo non poteva proseguire se non da Roma, preservando la dimensione universalistica della Chiesa.
Dopo la storica “Breccia” la Chiesa acquisì una forza ed un prestigio morale che non aveva posseduto prima, presso e fuori il mondo cattolico, mentre si infranse il sogno di una riforma religiosa di tipo protestante, come auspicato dalle confessioni riformate del Nord Europa e dell’America.
Il Papa, profondamente legato agli italiani ed alla Casa sabauda, che aveva dato dei Santi alla Chiesa, fu in realtà prigioniero del ruolo assegnatogli dalle circostanze, poiché se avesse lasciato prevalere le ragioni del cuore sulla ragion di Stato e l’accettazione del “fatto compiuto” una volta perduta Roma, sarebbe stato considerato dalle Potenze europee poco più di un Cappellano di Casa Savoia, con la conseguenza di una probabile catena di scismi da parte degli Episcopati nazionali.
Sono consapevole dei tanti errori commessi nel corso del processo unitario italiano, alcuni dei quali ancora condizionano la vita dello Stato, come anche di pur legittime nostalgiche suggestioni; tuttavia ci si può interrogare sulla opportunità di sopravvivenza del potere temporale del Papato, struttura necessariamente cristallizzata nel tempo in quanto organizzata secondo principi essenzialmente autocratici, incuneata geograficamente in un contesto unico per cultura, storia e con un destino fatalmente democratico.
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